Etiopia, Acs: nel Paese scontri etnici non religiosi
Federico Piana- Città del Vaticano
L’appello di Papa Francesco lanciato domenica scorsa al termine dell’Angelus per chiedere la cessazione delle violenze in Etiopia e la preghiera per tutte le vittime coinvolte, ha permesso al mondo di conoscere una drammatica situazione di scontri nel Paese, che altrimenti sarebbe passata sotto silenzio. O quasi. In queste ultime ore, un bilancio aggiornato riferisce di più di ottanta decessi in un’onda lunga di proteste che sta causando morti soprattutto tra i cristiani della Chiesa Ortodossa Tewahedo, al cui Patriarca il Pontefice ha fatto giungere il suo segno di vicinanza e di preghiera.
Alessandro Monteduro, direttore di Aiuto alla Chiesa che Soffre Italia, conosce bene le dinamiche che si sono innescate in Etiopia: “Quelli a cui assistiamo – dice - sono conflitti etnici nei quali si innesta una strumentalizzazione religiosa”.
I cristiani in Etiopia sono maggioranza?
R. - Sì. Sono circa il 60% della popolazione e la chiesa maggiormente diffusa è quella ortodossa. Non bisogna dimenticarci che è un conflitto etnico, non possiamo parlare di fondamentalismo religioso come esiste in altri Paesi dell’Africa. In Etiopia c’è una determinata etnia che vuole sopraffare un’altra etnia composta maggiormente da cristiani. Non a caso Papa Francesco, nel suo appello, si è rivolto a tutti gli etiopi e ha chiesto di pregare per tutte le vittime del conflitto in corso.
Anche la comunità internazionale deve mantenere viva l’attenzione su questa drammatica situazione…
R. - Non c’è dubbio. Aiuto alla Chiesa che Soffre, la scorsa settimana, ha presentato un nuovo focus sulla persecuzione a danno dei cristiani. E’ importante che ognuno di noi si renda conto che sono 300 milioni i cristiani che vivono in terre di persecuzione. Un cristiano ogni sette soffre direttamente o indirettamente la persecuzione in odio alla fede. Inoltre, la disarticolazione militare dell’Isis nelle aree del Medioriente sta spostando sia l’ideologia politico-religiosa del gruppo terroristico che i suoi militanti proprio in Africa, in particolare nel Sahel, nell’Africa sub-sahariana. Ma anche nell’Asia meridionale ed orientale.
Questa evoluzione qualche anno fa era prevedibile?
R. - Non si sarebbe potuta immaginare. Nessuno avrebbe mai potuto pensare di raccontare, dall’Africa e dall’Asia, violenze legate all’odio religioso. Ma ora purtroppo è così.
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