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Uno degli impianti iraniani per l'arricchimento dell'uranio Uno degli impianti iraniani per l'arricchimento dell'uranio 

L’Iran riprende l’arricchimento dell’uranio

Lo ha dichiarato il Presidente Hassan Rohani alla televisione di stato iraniana. Secondo il leader di Teheran “non c’è scelta per il Paese” ma se i partner internazionali rispetteranno i loro impegni “si potrà negoziare nei prossimi due mesi”

Federico Francesconi – Città del Vaticano

Dopo le nuove sanzioni applicate ieri dagli Usa ad alcuni uomini vicini all’Ayatollah Ali Khamenei (annunciate proprio durante l’anniversario dei 40 dalla presa degli ostaggi all’ambasciata Usa di Teheran), l’annuncio dell’iniezione dell’uranio nelle 1.044 centrifughe dello stabilimento di Fordo, scavato nelle montagne a 30 chilometri dalla città di Qom, segna un ennesimo segnale delle tensioni tra Washington e Teheran e un altro passo nel disimpegno dell’Iran dall’accordo sul nucleare del 2015.
Il sito di Fordo, che sarebbe dovuto diventare un centro di ricerca, riprenderà da domani l’effettiva produzione di uranio arricchito, proprio allo scadere del quarto “ultimatum” lanciato da Rohani ai partner europei, riguardo la compensazione delle sanzioni Usa, che pesano sempre di più sull’economia del paese.
L’annuncio di Rohani conferma un trend che va avanti dal maggio dello scorso anno, quando il presidente americano Trump decise di ritirare unilateralmente gli stati uniti dagli impegni presi a Vienna. Questo ultimo passo nell’incremento della tensione tra Usa e Iran ha lasciato preoccupazioni anche al Cremlino, il cui portavoce Dimitri Peskov ha definito “preoccupanti” i piani dell’Iran, e ha dichiarato deh dal collasso dell’accordo non porterebbe “nulla di buono”.

Le risorse nucleari dell’Iran oggi

Oltre allo stabilimento di Fordo, l’Iran possiede 4 siti principali dediti alla gestione di materiale nucleare. Il più grande è quello di Natanz, nella provincia centrale di Ishafan, che si occupava dell’arricchimento dell’uranio. A Bushehr si trova un impianto per la produzione di energia nucleare civile aperto insieme alla Russia nel 2011. A Teheran si trova inoltre in funzione un vecchio reattore nucleare la cui costruzione risale a 50 anni fa. Secondo i termini dell’accordo di Vienna, l’Iran può conservare riserve di uranio impoverito fino a 300 chilogrammi, una riduzione quasi totale rispetto ai 10.000 kg che possedeva prima del 2015. Per quanto riguarda l’arricchimento, il limite consentito per l’uso civile è del 3.67% (quanto basta per alimentare uno stabilimento per l’energia nucleare). Per essere utilizzato a scopo militare - per costruire una bomba atomica, per intenderci – l’uranio deve essere arricchito fino al 90%, tuttavia se viene precedentemente arricchito fino al 20%, il processo per arrivare al livello necessario per l’uso bellico viene accelerato notevolmente. Con le tensioni sull’accordo, lo scorso luglio Teheran ha rotto il limite dei 300 chilogrammi (ora ne ha 500) e ha aumentato l’arricchimento del proprio uranio fino al 4.5%, rompendo tutti i confini posti a Vienna; inoltre il governo Iraniano ha dichiarato di voler produrre tra i 450 grammi e i 5 chilogrammi di uranio pronto per l’arricchimento ogni giorno.

Le tensioni con gli Usa e l’allontanamento dall’accordo sul nucleare

La discussione sul nucleare in Iran trova le sue origini nelle sanzioni che il Consiglio di Sicurezza delle nazioni Unite (sostanzialmente Usa, Uk, Cina, Francia, Russia e Germania) pose su Teheran assieme all’Unione Europea, quando il Paese si rifiutò di mitigare il proprio programma per l’energia nucleare, ritenendo iniqui i termini di un accordo per l’uso civile dell’uranio proposti dal Consiglio. Dopo una serie di negoziati, le sanzioni furono infine sollevate il 14 luglio 2015 con un accordo firmato a Vienna dai ministri degli esteri Iraniani e dai rappresentanti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Il trattato riduceva drasticamente le riserve di uranio dell’Iran e limitava il suo utilizzo di centrifughe per l’arricchimento dello stesso, evitando quasi ogni rischio di proliferazione nucleare nell’area del Golfo. La situazione è rimasta stabile fino all’8 maggio 2018, quando gli Stati Uniti hanno lasciato unilateralmente l’accordo, instaurando nuove e pesanti sanzioni su Teheran, colpendo principalmente le banche e le esportazioni di petrolio. La decisione è stata uno dei temi della campagna elettorale di Donald Trump, ed è dovuta agli equilibri della zona del Golfo, dove L’Iran ha una grande influenza – opposta a quella americana – soprattutto in Siria. La decisione di Trump non ha trovato l’appoggio di nessuno dei partner internazionali di Washington, e soprattutto l’Unione Europea l’ha criticata più volte, in quanto effettivamente, l’Iran non ha mai violato – prima del ritiro degli Usa – i limiti stabiliti dall’accordo.

Cosa può fare il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite

“È un trend che va avanti da decenni: il Consiglio di sicurezza è diviso sull’Iran. Ci sono membri permanenti più vicini politicamente a Teheran, come la Russia, e altri molto lontani, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna; perciò è improbabile che il Consiglio di sicurezza possa dettare risoluzioni che coinvolgano l’Iran in materia di sicurezza e proliferazione nucleare nel Golfo.” Lo ha spiegato ai microfoni di Radio Vaticana Italia Luciano Bozzo, docente di studi strategici e internazionali all’università di Firenze.

Ascolta l'intervista a Luciano Bozzo

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05 novembre 2019, 15:07