Iraq: 40 i morti nella nuova ondata di proteste
Federico Francesconi – Città del Vaticano
Sono stati più di 350 i morti dall’inizio delle proteste in Iraq, ma le manifestazioni non accennano a fermarsi. Ieri a Nasiriya le truppe governative hanno usato gas lacrimogeni e munizioni convenzionali per disperdere la folla su due dei ponti principali della città. I dimostranti hanno a loro volta risposto con ulteriori violenze, dando fuoco ad un posto di polizia.
In serata, proprio a Nasiriya, si è dimesso il governatore della regione di Dhi Qar di cui la città è capoluogo. Prima di lasciare il suo ufficio, ha ritirato le forze di polizia e, al loro posto, sono scesi in campo rappresentanti dell’esercito.
Alcuni proiettili sono stati esplosi anche sul ponte di Ahrar, a Baghdad, uno dei luoghi strategici della città, mentre i manifestanti cercavano di raggiungere – come fanno ormai da settimane – la cosiddetta “zona verde” dove si trovano i palazzi del governo. Sul ponte sono morte 4 persone, mentre 20 sono rimaste ferite.
In risposta alle crescenti violenze, le forze armate irachene hanno annunciato il dispiegamento di “crisis cells”, unità anticrisi che saranno impiegate specificamente per fermare le proteste e, come dichiarato dal comando militare di Baghdad “imporre la sicurezza e restaurare l’ordine”.
L’influenza della Repubblica Islamica in Iraq
A Najaf gli scontri, in cui sono rimaste ferite 18 persone, si sono conclusi con l’incendio del consolato iraniano, assalito dai manifestanti al grido di “vogliamo l’Iran fuori dall’Iraq”.
L’ingerenza della Repubblica Islamica è una delle questioni più sentite dalla popolazione. Teheran è considerato spesso una sorta di “sponsor” del governo di Adel Abdul Mahdi e il suo appoggio è stato fondamentale sia in senso economico che militare, soprattutto quando, qualche anno fa, l’Iraq si è trovato a fronteggiare il califfato di Al Baghdadi. L’influenza dell’Iran è considerata talmente invasiva dai manifestanti, che spesso viene citata come una delle cause principali del cattivo governo e della corruzione all’interno dell’esecutivo di Baghdad.
I motivi delle proteste
Adel Abdul Mahdi ha preso l’incarico di primo ministro poco più di un anno fa, ma fino ad oggi nessuna delle sue promesse elettorali è stata mantenuta.
Nonostante la sua ricchezza petrolifera, l’Iraq non è riuscito ad aumentare il tasso di occupazione soprattutto tra i giovani, né il governo di Mahdi ha saputo scrollarsi di dosso le accuse di corruzione rivolte all’intera classe politica.
L’accumularsi del risentimento popolare ha scatenato lo scorso ottobre una prima ondata di proteste, durante la quale hanno perso la vita 149 cittadini iracheni. In seguito, Mahdi ha promesso di rimpastare il gabinetto di governo e di tagliare i salari degli alti funzionari delle istituzioni, ma non è riuscito a fare abbastanza per soddisfare le richieste dei manifestanti, le cui proteste si sono diffuse in tutte le città del paese con un’escalation di violenza che non accenna a fermarsi.
Cosa accomuna le rivolte in medio oriente
“Abbiamo rivolte in Iraq e in Libano nei confronti di un establishment percepito come incapace e corrotto, ma anche manifestazioni di piazza molto forti in un paese come l’Algeria, dove viene chiesta una transizione di sistema totale.” Lo ha spiegato ai microfoni di Radio Vaticana Italia Alberto Negri, giornalista ed esperto di questioni mediorientali.
“Queste rivolte - ha proseguito Negri - nascono in genere da problemi economici contingenti, ma sottotraccia c’è l’accumulo di una fortissima frustrazione frutto purtroppo di anni di incapacità dei governi dell’area di soddisfare le richieste della popolazione: richieste di migliori condizioni di vita, di trasparenza istituzionale, di democrazia e partecipazione popolare.
I governi come quello iracheno sono invece sentiti come delle cleptocrazie e le contestazioni contro di essi hanno dimostrato di superare a volte le divisioni etniche e settarie - come quelle tra sunniti e sciiti - tipiche di queste aree”.
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