Non ha retto la tregua su Gaza
Fausta Speranza – Città del Vaticano
E’ stato infranto il cessate il fuoco da entrambe le parti, dai miliziani della Striscia di Gaza e dall’esercito israeliano, e sono ritornati i razzi e i raid. Non è rientrata, dunque, la tensione dopo che Israele ha definito conclusa l’operazione “cintura nera” con la quale il 13 novembre ha ucciso il comandante militare della Jihad islamica Baha Abu al-Ata. Intanto emerge la notizia di una famiglia intera uccisa dalle bombe in una zona centrale della Striscia.
Nella notte, confermati attacchi contro obiettivi della jihad islamica a Gaza in conseguenza della ripresa dei lanci di alcuni razzi contro Israele, ieri in giornata. La tregua era giunta dopo due giorni di combattimenti in cui, secondo associazioni per i diritti umani, sono rimasti uccisi 34 palestinesi, tra cui 16 civili.
In particolare due sono stati lanciati da Gaza verso il sud di Israele, nelle zone adiacenti la Striscia, inclusa la cittadina di Sderot. E restano chiuse le scuole nel sud di Israele.
Intanto, poco fa fonti militari israeliane si sono pronunciate parlando di “errore” a proposito del bombardamento che ha provocato la morte di genitori e figli – otto persone - della famiglia Abu Malhus, nella notte tra mercoledì e giovedì a Deir el-Balah. Erano in un edificio che secondo il portavoce militare di Tel Aviv risultava vuoto. Ieri la radio militare israeliana aveva detto che il capo di famiglia Ramsi Abu Malhus era il responsabile per conto della Jihad islamica del lancio di razzi. Oggi si parla di errore di identificazione.
Di fatto si ripete per Gaza l’alternanza tra attacchi e cessate il fuoco. Per parlare di negoziati bisogna allargare il discorso alla Cisgiordania, come spiega nell’intervista Daniele De Luca, docente di Storia delle relazioni internazionali all’Università del Salento:
R. – Israele ha sempre detto che avendo l’opportunità di eliminare quantomeno alcuni dei capi militari – in questo caso parliamo della Jihad islamica, ma se fosse stato Hamas sarebbe stato lo stesso – lo avrebbe fatto. Il capo militare della Jihad è stato ucciso, è stato eliminato; sicuramente verrà sostituito da altri, ma la strategia militare di Jihad e di Hamas è sempre la stessa: fa parte del grande gioco mediorientale in cui si fa un passo avanti per farne due indietro ma fondamentalmente la tregua viene dichiarata e viola sistematicamente da una parte o dall’altra.
Ecco tregua e anche breve: per un negoziato che cos’altro ci vorrebbe? Ben altro …
R. – Qui dobbiamo distinguere, perché il negoziato con Hamas è praticamente impossibile; il negoziato è in stallo anche se ci sono poi sempre degli incontri sotterranei e segreti come con Fatah e con l’Autorità palestinese che si trova in Cisgiordania. E infatti, lì i problemi di tregua o di conflitto non ce ne sono. Le due parti sono completamente staccate: Gaza è una cosa e la Cisgiordania è un’altra, Gaza è veramente un problema anche per l’Autorità nazionale palestinese stessa. Quindi penso che nessuno immagini di poter arrivare a un accordo con i capi politici o militari di Gaza. Cosa diversa è invece con la Cisgiordania, e tutti ci auguriamo che finalmente ci si possa rimettere al tavolo delle trattative e arrivare alla soluzione dei due Stati.
Che cosa significa in questo momento all’interno di Israele una ripresa così alta di tensione, e che cosa invece significa per tutta l’area mediorientale?
R. – Io credo che le cose siano relativamente staccate. Anche se il capo militare della Jihad islamica faceva riferimento alle milizie filoiraniane, io credo che l’Iran non si assumerà la responsabilità di qualche azione di rappresaglia nei confronti di Israele: non conviene assolutamente a nessuno. Quindi la questione palestinese, mi dispiace dirlo, è una questione estremamente piccola e limitata nel grande gioco mediorientale.
“Piccola e limitata” in termini di conseguenze e di implicazioni?
R. – Ovviamente. Ci sono questioni molto più importanti. Si trovano, per esempio, al Nord di Israele: la Siria. La questione siriana è assolutamente fondamentale: per la sicurezza di Israele, per la sicurezza dell’Iran, per la sicurezza del Libano … E quindi è molto ma molto più importante risolvere quei problemi – o lasciare in stallo quei problemi, cioè non arrivare ad alcun conflitto – piuttosto che preoccuparsi di un piccolo conflitto, di un piccolo focolaio nella Striscia di Gaza.
Stiamo parlando del punto di vista delle grandi potenze internazionali e dei grandi attori regionali …
R. – Quello sicuramente. Delle grandi potenze internazionali nel Medioriente ormai è rimasta soltanto la Russia di Vladimir Putin; ci sono altre potenze regionali – due su tutte: l’Iran e Israele – e nessuno in questo momento credo abbia interesse a soffiare sul fuoco di un nuovo conflitto.
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