In Somalia nuova strage firmata Al Shaabab, decine le vittime
Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano
Ultimo aggiornamento 29.12.2019
E’ stato rivendicato dalla cellula somala di Al Qaida, l’organizzazione terroristica Al Shabaab, l’attacco di ieri a Mogadiscio, che ha ucciso oltre 90 persone e ne ha ferite circa 120, secondo l'ultimo bilancio. Molte delle vittime sono civili, tra loro tanti bambini, 17 studenti e anche due stranieri, di nazionalità turca.
Per la polizia è uno dei peggiori attacchi degli ultimi anni
Sin dai primi istanti è stata chiara la dinamica dell’attentato, condotto da un kamikaze che si è fatto esplodere a bordo di un’auto in un sobborgo della capitale somala, in un momento di grande affollamento, nei pressi di un checkpoint dal quale si entra e si esce dalla città. La polizia parla di uno dei più gravi attacchi degli ultimi anni. Un paio di settimane fa, sempre a Mogadiscio, 5 persone erano rimaste uccise durante un assalto ad un albergo, mentre il peggiore attacco risale al 2017, quando un camion bomba uccise circa 600 persone.
Difficile riuscire a garantire la sicurezza di Mogadiscio
E’ dal 2006 che il gruppo Al Shaabab compie attacchi nella capitale contro civili, militari, operatori umanitari, giornalisti e membri del governo. Nonostante anni fa i terroristi di Al Shaabab siano stati cacciati da Mogadiscio, riescono ancora oggi a colpire indisturbati i loro obiettivi e le possibili ragioni le spiega mons. Giorgio Bertin, vescovo di Gibuti e amministratore apostolico di Mogadiscio
R. – Penso che Mogadiscio facilmente raggiunga i due milioni e mezzo di abitanti e con tutta la gente che va e viene, con tutti gli sfollati oggettivamente è anche difficile poter controllare. In più, con le calamità che ci sono state, come le ultime inondazioni. Tutto questo continua a creare situazioni di estrema precarietà per cui anche un governo che cercasse di affermarsi si troverebbe a far fronte a calamità naturali e a calamità originate dagli uomini, come in questo caso.
Questa città non ha davvero mai tregua …
R. – Ah, davvero! Non ha pace, io punterei il dito soprattutto sui somali che mancano di coerenza, non intendono lavorare insieme per risolvere il problema. Faccio un esempio: solo qualche giorno fa c’è stato un grande incontro di intellettuali somali di diverse parti del mondo di lingua somala, qui, a Gibuti. Mi sono chiesto: ma si parla veramente di come risolvere il problema degli sfollati interni, dei rifugiati, del problema degli Al Shabaab, del problema legato a un governo federale che è lì ma che non ha un grande potere, del problema de diversi Stati regionali che cercano di affermare la loro esistenza combattendo magari contro il governo federale? Tutto questo indebolisce la struttura sociale della Somalia e quindi è chiaro che chi ne fa le spese sono i più inermi, quelli che passano per strada per caso e che vengono uccisi. E’ una situazione veramente intricata. La sola maniera per uscirne è rispondere al desiderio di una più grande unità e di lasciare da parte gli interessi personali e gli interessi di parte. Se non si abbandona questo schema, questa situazione continuerà.
La classe politica, attualmente riesce a mettere il bene del Paese davanti al bene personale?
R. – Ho l’impressione che forse c’è qualche individuo, ma in gran parte no.
Quindi sembra quasi una lotta impossibile?
R. – Diciamo di sì, sembra impossibile a meno che non ci sia veramente una, usando un termine religioso, ‘conversione’, e io continuo a credere, grazie alla mia fede, che la conversione sia sempre possibile. Nonostante tutto, auguriamo un 2020 che sia migliore. Dovrebbero esserci le elezioni generali, ma non so quanto valide saranno. Ecco, l’augurio è che per la Somalia ci sia qualcuno, qualcuno tra i somali, che veramente abbia una statura di livello grande, che voglia veramente il bene di tutto il suo popolo.
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