Morte di Piero Terracina sopravvissuto ad Auschwitz: il cordoglio dei vescovi italiani
Luca Collodi e Marco Guerra – Città del Vaticano
La Chiesa Italiana si unisce al cordoglio per la morte di Piero Terracina, ebreo romano, tra gli ultimi sopravvissuti al campo di concentramento nazista di Auschwitz-Birkenau, deceduto ieri mattina a Roma, all’età di 91 anni. Terracina è stato un instancabile testimone dell’olocausto, particolarmente apprezzato per il suo impegno di sensibilizzazione e salvaguardia delle memoria offerto agli studenti di tutte le scuole.
Il compito della memoria
A nome dei vescovi italiani, monsignor Ambrogio Spreafico, vescovo di Frosinone e presidente della commissione Cei per l’ecumenismo e il dialogo, ha inviato un messaggio di cordoglio alla presidente della Comunità ebraica di Roma, Ruth Dureghello, esprimendo “l’impegno della nostra Chiesa perché questa memoria non abbandoni il nostro Paese e l’Europa, e per contrastare ogni rigurgito di antisemitismo consapevoli che le radici della nostra fede sono nella fede del vostro popolo”. “Mai lasceremo sole le comunità ebraiche”, ha spiegato ancora monsignor Spreafico, “questa è la nostra prima risposta anche come Chiese cattolica. A noi oggi spetta il compito, anzi il dovere, di essere la voce dei testimoni”.
Per un ricordo di Pietro Terracina, Luca Collodi ha intervistato la presidente della Comunità ebraica di Roma, Ruth Dureghello:
R. - La scomparsa di Piero Terracina è sicuramente un fatto anagrafico improcrastinabile, ma è anche un elemento che deve aggiungere una riflessione, un ragionamento importante su quanto sia difficile potare avanti la memoria man mano che i testimoni purtroppo scompaiono. È una grande responsabilità che si carica su tutti noi nel momento in cui loro non possono più continuare nell’impegno con i ragazzi, nelle scuole, nella società civile, impegno che hanno portato avanti con tanta dedizione; Piero lo ha fatto soprattutto negli ultimi anni.
La memoria è un momento importante. Negli ultimi anni della sua vita Terracina ha incontrato tantissimi giovani e ha fatto molti i viaggi anche nei campi di concentramento. Che cosa diceva? Era fiducioso sulla memoria dei giovani?
R. - Piero ha dato un senso alla sua terribile esperienza. Piero come tanti altri testimoni solo dopo tanti, tantissimi anni, ha cominciato a parlare ai ragazzi e lo ha fatto con molta delicatezza, con molta sensibilità, perché raccontare quell’orrore sicuramente non era facile né per chi lo faceva né tantomeno per chi lo ascoltava. I testimoni avevano avuto il timore di parlare, si erano sentiti in colpa, si erano vergognati di essere tornati. Poi finalmente ad un certo punto hanno compreso che se non avessero raccontato quell’inferno, il rischio che si potesse di nuovo verificare sarebbe stato decisamente più grande, ma mai una parola di odio, mai una parola di violenza, mai una parola di sconforto negli incontri con i ragazzi. Io ho partecipato a tanti incontri, l’ho accompagnato in diverse occasioni, siamo stati vicini, faccia a faccia con gli occhi increduli dei ragazzi che ascoltavano per ore la sua testimonianza, ma mai un momento di odio e di vendetta.
C’è una frase personalmente che mi ha colpito di Terracina: quando al suo rientro dai compi di concentramento e negli anni subito dopo l’olocausto, lui si sentiva solo e anche un po’ abbandonato dalle istituzioni…
R. - La vita del sopravvissuto, come dicevo anche prima, non è stata una vita facile. Ovviamente nei campi di sterminio - voglio sottolinearlo si trattava del caso di Aushwitz Birchenau come di altri campi concentramento – si entrava per essere uccisi, per essere sterminati non certo per essere fatti solo prigionieri. In alcuni periodi si sono sentiti molto isolati. La stessa vergogna di essere tornati, lo sconforto, momenti in cui l’odio ricominciava a fiorire a nascere non si riusciva a contrastarlo come era necessario e doveroso; penso solo ad episodi terribili di rigurgiti fascisti e neonazisti che in Italia hanno visto rifiorire in certi anni della nostra storia, ma lo penso anche di quest’epoca molto difficile che viviamo. Penso che Piero anche in questo momento pure essendo così abbracciato dai tanti ragazzi, dai tanti sindaci, dalle tante persone che lo avevano conosciuto, abbia vissuto un isolamento personale profondo e forte.
Presidente Dureghello, la morte di Terracina può far rinascer il negazionismo?
R. - Sì, questo è un dato di fatto. Non lo fa rinascere; il negazionismo è presente, si diffonde, prende il sopravvento sempre di più nel momento in cui i testimoni diretti purtroppo scompaiono. Se andiamo ad aprire Facebook o a leggere alcune posizioni e dichiarazioni dei cosiddetti scienziati - in certi occasioni così si definiscono - che raccontano la loro storia di quello che sarebbe stato il nazifascismo, veramente inorridiamo. Ma dall’altra parte se la storia è affidata a mezza pagina di un libro di scuola o peggio ancora a taluni siti che veramente diffondono una verità che non ha nulla a che vedere con quello che è l’esperienza vissuta da persone come Piero Terracina, il problema c’è ed è inquietante.
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