Rilanciare la solidarietà, dal cuore delle persone alle politiche internazionali
Roberta Gisotti – Radio Vaticana
Solidarietà, una parola che interpella la coscienza delle persone ma anche la responsabilità degli Stati, delle istituzioni governativi e non governative, degli enti pubblici e privati. E’ questo lo spirito sotteso alla Giornata internazionale della solidarietà umana, istituita dall’Onu nel 2005 e celebrata in tutto il mondo il 20 dicembre, a ridosso della festa del Natale, che più di ogni altra ricorrenza richiama i cristiani e tutta l’umanità a volgere lo sguardo verso le persone più bisognose di aiuto materiale e di conforto spirituale, in ogni luogo e condizione esistenziale.
Uniti nella diversità
“Una giornata per celebrare la nostra unità di famiglia umana nella diversità - raccomanda l’Onu - per ricordare ai governi di rispettare gli impegni assunti con gli accordi internazionali, per sensibilizzare l'opinione pubblica sull'importanza della solidarietà, per incoraggiare nuove iniziative per sradicare della povertà”.
Dal moto dell’anima all’azione
Quando parliamo di solidarietà ci riferiamo infatti ad un moto dell’anima che deve poi anche tradursi in azioni, come ci spiega Paolo Beccegato, vicedirettore e responsabile dell’area internazionale della Caritas italiana.
R. – Si tratta di passare da un atteggiamento interiore e personale fino alle politiche internazionali, con tutte le sfumature dall’uno all’altro aspetto, e da discorsi di carattere strategico e di indirizzo, fino alle cose concrete più semplici e quotidiane. Quindi un doppio passaggio: dal piccolo al grande, dall’alto verso il basso ma di fatto una solidarietà che poi alla fine caratterizza, può caratterizzare, deve caratterizzare l’intera umanità.
In questi giorni è in corso a Roma una riunione degli operatori della Caritas italiana impegnati in vari Paesi del mondo. Sono qui per un corso di aggiornamento e di formazione. Che cosa distingue l’impegno della Caritas nei territori in cui opera?
R. - Per noi la parola stessa che poi è anche il nostro nome è proprio la carità. Quindi è anche la virtù evangelica, teologica che in qualche modo ci dice di un amore di un Dio verso di noi e che noi, in qualche modo, parimenti vogliamo riversare verso i fratelli più bisognosi, più deboli, coloro che sono più dimenticati. Queste presenze di questi nostri operatori volontari in alcuni Paesi del mondo – che sono molto pochi in realtà rispetto all’enormità, alla vastità delle povertà e dei bisogni - sono un segno di solidarietà, di carità, partendo dalle zone più povere e dimenticate: per l’America Latina per esempio ad Haiti; per l’Africa soprattutto in Sud Sudan, in Kenya e nel Corno d’Africa; per l’Asia nelle Filippine, in Indonesia, nello Sri Lanka e nel Nepal; per il Medio Oriente certamente la Siria; e poi anche siamo nel Nord Africa. Zone segnate da miseria, da guerra, da diseguaglianze, dove abbiamo impiantato progetti sia di emergenza sia di sviluppo, sempre di grandissima condivisione, per cui anche noi impariamo molto dalle Chiese locali e la cooperazione fraterna fra Chiese diventa lo stile di una presenza e di una condivisione e di uno scambio reciproco dove anche noi abbiamo molto da comprendere e da confrontarci.
Dobbiamo dire che la parola solidarietà nel dibattito pubblico di questi ultimi anni è anche una parola abusata e travisata o messa da parte in tempi di crisi economica e di egoismi sociali. Perlomeno questa è la percezione. Voi dal vostro osservatorio come valutate la situazione della solidarietà?
R. - Sì, la narrativa politica e anche mediatica oggi fa dire: ‘Prima noi’, ‘prima gli italiani’, ‘prima gli americani’. Questi slogan sembrano andare in direzione opposta rispetto alla solidarietà, rispetto al fatto del sentirci tutti fratelli, tutti figli dello stesso Padre. Ma sappiamo bene che dietro gli slogan la realtà della nostra gente e delle nostre comunità è molto più variegata. Certamente, per l’Italia in particolare, questi dieci lunghi anni di crisi che ha visto raddoppiare la povertà assoluta nel Paese ci fanno dire quanto sia importante una solidarietà verso gli italiani più poveri e una condivisione dei loro bisogni. Tra le altre cose, la nostra esperienza è che spesso anche i nostri volontari si trovano ad avere anche loro gravi problemi e quindi in qualche modo non c’è più questa grande distanza fra chi aiuta e chi è aiutato ma è bello dire che si condivide, si cammina insieme, ci si accompagna l’un l’altro. E’ bene quindi rifiutare questi manicheismi verbali, quasi come se ci fossero delle distanze tra le persone. In realtà siamo molto più vicini. Però il rilievo da dare a questa Giornata della solidarietà internazionale è veramente molto importante, proprio per abbattere eventuali paure, stereotipi, superficialità che non fanno del bene neanche a chi li proclama. Noi abbiamo l’esperienza dell’educazione alla mondialità nelle nostre comunità, che fa aprire il cuore anche ai giovani - moltissimo - nel capire ed approfondire i temi, le cause, i collegamenti, i fenomeni, anche per evitare una carità epidermica, una carità episodica e farla diventare invece una carità intelligente, una carità documentata, una carità che continuamente si interessa dell’altro. Questo restituisce una bellezza a questo tipo di vita spesa nella carità, che non ha pari.
E’ importante pure che sia rilanciata la cooperazione internazionale da parte degli Stati, perché si sente parlare sempre di aiuto all’immigrazione e non si parla più di aiutare le persone dove hanno diritto di vivere, cioè a casa propria...
R. - Su questo aspetto certamente ci sono dei grandi rischi, cioè di ridurre tutte le politiche di cooperazione e di solidarietà internazionale. Ridurle da un punto di vista quantitativo, ovvero diminuire i fondi destinati, e questo fenomeno caratterizza anche l’Italia e quindi è giusto un richiamo, una denuncia perché queste politiche devono essere assolutamente rilanciate. Poi c’è un discorso qualitativo. I fondi spesso sono destinati ai Paesi più poveri o di transito per il contenimento di flussi migratori, quasi come se aiutarli a casa loro non diventasse più un tutelare i loro diritti, a partire da quelli più lesi e più dimenticati, ma avesse per scopo principale il fatto che non si voglia che venga qui qualcuno. Queste politiche non sono assolutamente condivisibili. Sono ormai anni che denunciamo una scarsa cooperazione allo sviluppo, una scarsa cooperazione internazionale, sia dal punto di vista quantitativo sia da quello qualitativo.
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui