Quando Rubens e i fiamminghi studiarono Tiziano e Tintoretto
Paolo Ondarza - Città del Vaticano
E’ ricco di stimoli il confronto tra la pittura veneta e fiamminga a cavallo tra il ‘500 e il ‘600: dai ritratti, alle nature morte, fino alle rappresentazioni sacre. Ad offrirlo è la prestigiosa esposizione allestita a Palazzo Ducale di Venezia fino al 1 marzo 2020 “Da Tiziano a Rubens. Capolavori da Anversa e da altre collezioni fiamminghe”.
Due poli commerciali
La rassegna ricostruisce il vivace scambio culturale intercorso tra quelli che all’epoca erano considerati due poli commerciali nevralgici. “L’arte - afferma Gabriella Belli, direttrice della Fondazione Musei Civici di Venezia e responsabile scientifico della mostra - è messaggera e testimone di queste relazioni”. Attraverso gli artisti le due città traducono i loro fecondi rapporti economici in stimolanti contaminazioni culturali. Due porti strategici. Venezia, verso oriente; Anversa, verso nord. La loro posizione geografica favorisce gli scambi. Se nella Laguna la stagione d’oro della pittura è il Cinquecento, nei paesi fiamminghi delle Fiandre gli esiti più alti sono raggiunti nel Seicento, quando Van Dyck e Rubens elaborano in chiave nordica quanto appreso in Italia dai grandi veneti.
Rubens e la pittura di Tintoretto
Tra le 12 opere di Rubens in mostra, spicca il “San Francesco d’Assisi che riceve le stigmate”, un soggetto trattato più volte dal pittore e dipinto nella prima metà degli anni Trenta. Evidente l’influsso di Tintoretto nella gestualità, nel ritmo cromatico e nel dinamismo. “Rubens - spiega Gabriella Belli - di Tintoretto ama la pittura senza disegno che costruisce un movimento di aria e luce”. Sempre al grande veneziano si ispira un altro capolavoro di piccole dimensioni: la “Flagellazione di Cristo”, scena del ciclo dedicato ai “quindici misteri del Rosario”.
Tiziano e la donna amata "ritrovata"
Estremamente significativo è il confronto con Tiziano Vecellio che tanto colpì i pittori del nord. L’esposizione racconta al pubblico l’entusiasmo di una scoperta, venuta alla luce a seguito di un restauro effettuato su quello che fino alla prima metà del secolo scorso era ritenuto all’unanimità una rappresentazione di “Tobia e l’angelo Raffaele”, oggi indentificato invece come “Ritratto di dama con figlia”. “La storia dell’arte - racconta la Belli - a volte ci riserva delle sorprese. Il dipinto di ritratto di donna con bambina era rimasto nello studio di Tiziano fino al momento della morte”. Successivamente, probabilmente un suo assistente, forse constatando la poca appetibilità del soggetto per il mercato dell’epoca, trasformò l’immagine in Tobia e l’angelo Raffaele. “Il quadro venduto prima a Venezia, finisce nella collezione dello zar Nicola di Russia dove rimane fino all’Ottocento. Venduto a un conte russo, torna sul mercato europeo e acquistato da un inglese rimane nascosto in un magazzino di Londra”. Bisogna attendere la fine della seconda guerra mondiale perché l’opera torni alla luce: sottoposta ai raggi x, lascia intravedere sotto l’immagine dell’angelo un’altra figura. La prudenza dei restauratori, timorosi di mettere mano a un’opera certificata di Tiziano, rallenta il delicatissimo lavoro di pulitura che si protrarrà per vent’anni. “L’intuizione ha vinto tuttavia sulla prudenza” e il dipinto si rivela essere un “meraviglioso ritratto della donna amata da Tiziano: intimo, personale, rimasto nella casa del pittore perché raffigurante una figura di famiglia”.
Capolavori che tornano a casa
La mostra testimonia il percorso travagliato vissuto da alcune opere d’arte che tornano a Venezia dopo una lunga assenza. E’ il caso di un dipinto realizzato da Tintoretto per la Chiesa di san Geminiano, distrutta in epoca napoleonica. “Le opere d’arte - commenta con emozione Gabriella Belli - hanno le ruote. Nella storia quasi tutti i quadri vengono prodotti in un luogo e poi emigrano altrove, a causa di saccheggi di guerra o vendite di privati”; nel caso specifico l’olio su tela raffigurante “L’angelo che annuncia il martirio di Santa Caterina d’Alessandria” è finito in una collezione privata dopo la caduta della Serenissima. “Molte opere d’arte prendono le strade di tutto il mondo, trasmigrando fino ai musei americani”. Il nostro desiderio che alcuni di questi quadri possano rimanere per un deposito di lungo termine a Palazzo Ducale, - prosegue la direttrice della Fondazione Musei Civici - sembra realizzabile almeno per cinque anni, grazie alla generosità di un collezionista privato. Questo permetterà l’approfondimento degli studi e la riscoperta di quella che fu la chiesa di san Geminiano”.
La contaminazione tra Venezia e Anversa
Struggente invito alla contemplazione estetica e spirituale è il “Compianto”, dipinto da Anthony Van Dick nel 1634-35. “In questo capolavoro forse più che in altre opere di Van Dick, si sente la forza, la potenza, il pathos del colore di Tiziano”. Il bellissimo corpo di Cristo esanime campeggia al centro della scena, adagiato sulle gambe dell’Addolorata. La cromia bruna dei panneggi della Vergine e della veste di san Giovanni è spezzata dalla luce dell’azzurro del cielo e del drappo su cui è adagiata la testa del Cristo. L’opera riflette le impressioni rimaste nell’animo del pittore nordico a seguito del viaggio in Italia che lo segnò nel suo percorso artistico. Netta l’identificazione tra Gesù e la Madre: il dramma del compianto dopo la crocefissione si riflette nel volto sofferente della Vergine: “E’ un quadro veramente sublime. C’è tanta pittura italiana dentro, con il suo sole e la sua luce - aggiunge la direttrice - un emblema della contaminazione culturale tra Venezia e Anversa”.
Due scuole a confronto sul sacro
Per certi versi, grazie alle opere in mostra a Palazzo Ducale, è possibile porre a raffronto il modo di interpretare il soggetto sacro dell’arte veneta e di quella fiamminga: “Pur partendo da una vicinanza spirituale - conclude Gabriella Belli - le due scuole si portano dietro una rielaborazione di temi sacri con diverse tensioni morali e spirituali che si riflettono molto nella scelta dei temi religiosi, ma soprattutto nelle caratteristiche proprie della cultura nordica rispetto a quella italiana. Al nord il realismo è più accentuato, rispetto al mito e al simbolismo delle opere italiane”.
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