Per Donald Trump più vicino il processo d’impeachment
Fausta Speranza – Città del Vaticano
Negli Stati Uniti, Nancy Pelosi, la speaker della Camera dei Rappresentanti, ha chiesto alla commissione Giustizia di iniziare a redigere le accuse di abuso di potere contro il presidente, che prevedono l’impeachment. Su Twitter, Trump ha scritto tra l’altro: “Se dovete procedere fatelo in fretta, al senato vinceremo”.
“L'operato di Donald Trump non ci lascia altra scelta, procederemo con la messa in stato di accusa”, ha detto Pelosi annunciando il prossimo passaggio, la redazione degli articoli del provvedimento. Si parla, dunque, sempre più seriamente di impeachment per Donald Trump.
Il pronunciamento della Commissione Intelligence
Pelosi ha parlato dopo che il rapporto della commissione Intelligence ha accertato come il 45° presidente statunitense sia processabile per impeachment: per aver “ostruito la giustizia” e “abusato del suo potere” sollecitando “l'interferenza del governo straniero dell'Ucraina, per i suoi interessi politici e personali”, messi dunque – si legge sempre nel rapporto - “al di sopra di quelli degli Stati Uniti». Il processo vero e proprio per la messa in stato di accusa dovrebbe tenersi nei primi mesi dell’anno prossimo. Intanto, la commissione Giustizia terrà un'altra udienza lunedì, per sentire i legali della stessa commissione e di quella dell'Intelligence. Poi in settimana potrebbe esserci il primo voto sugli articoli.
Le accuse
Precisamente, il quadro emerso è che nei primi mesi del 2019 Trump e alcuni suoi collaboratori hanno fatto diverse pressioni per spingere il governo ucraino e il suo neoeletto presidente Volodymir Zelensky a fornire materiale imbarazzante su Joe Biden – ex vicepresidente e possibile avversario di Trump nel 2020 – o il Partito Democratico. Si ritiene che gli strumenti usati da Trump siano stati diversi, ma che il più rilevante sia stata la minaccia di bloccare un pacchetto di aiuti da circa 400 milioni di dollari al governo ucraino.
I prossimi passi
Dopo la fase di indagini, quella in corso finora, e una volta formalizzate le accuse, la Camera dovrà decidere con un voto a maggioranza semplice. A quel punto entrerà in gioco il Senato, con un procedimento più lungo e complesso. Alla Camera il voto a favore dell'impeachment è scontato. Molto diverso il passaggio al Senato sul quale si sofferma Mario Del Pero, docente di Storia internazionale all’Istituto di Studi politici a Parigi:
R. – La Camera bassa, la Camera dei rappresentanti, vota per autorizzare o meno la messa in stato di impeachment. C'è una maggioranza democratica: è quasi inevitabile che l'autorizzazione ci sarà. Poi si passa al Senato, il Senato viene trasformato quasi in un'aula di tribunale presieduta dal Presidente della Corte Suprema; il Senato diventa il tempo stesso, diciamo così, giudice e giuria di un vero e proprio processo. Lì, però, per completare l'iter, condannare il presidente e costringerlo alle dimissioni c’è bisogno di una maggioranza qualificata dei due terzi più uno dei senatori: 67 su 100, una maggioranza che oggi non c'è. I repubblicani hanno 53 senatori e sembrano tutti schierati dalla parte del presidente, forse con la sola eccezione del senatore dello Utah, Mitt Romney. Mancano cioè i numeri per portare la procedura a termine e condannare Trump e imporgli le dimissioni.
Professore, ricordiamo gli altri casi di avvio di procedure di impeachment o di discussione negli Stati Uniti?
R. – Allora, questa sarebbe la terza volta che si giunge che la Camera autorizza la messa in stato di impeachment e si giunge quindi a questa sorta di processo al Senato. La prima volta fu nell'epoca della Ricostruzione successiva alla Guerra Civile con il presidente Andrew Johnson che in realtà arrivò molto molto vicino all’impeachment: mancò solo un voto perché il Senato avesse la maggioranza necessaria per “condannarlo”, diciamo così. E poi abbiamo i due casi dell’epoca contemporanea: Nixon nel ‘74 e Clinton nel ’98–’99. Nixon si dimise anticipatamente, consapevole a quel punto che l’impeachment sarebbe stato quasi certo: dopo le rivelazioni uscirono dei nastri, delle trascrizioni, diciamo così, di sue dichiarazioni che ammetteva sostanzialmente la sua responsabilità nel tentativo di coprire lo scandalo del Watergate. Clinton arrivò fino al dibattito al Senato e fu prosciolto, diciamo così, al Senato. Il dato rilevante, il paragone utile con il presente è che è un processo in larga parte politico che si svolge di fronte all'opinione pubblica. Il tribunale è anche quello dell'opinione pubblica. L'opinione pubblica nel ’74 si schierò progressivamente contro Nixon, come i sondaggi indicavano bene; non avvenne questo con Clinton nel ’98, possiamo dire che non sta venendo oggi contro Trump, nel senso che l'opinione pubblica negli Stati Uniti è spaccata in due campi che non si muovono a difesa di Trump o contro Trump, e questa partita diventa una partita più politico-elettorale nel tentativo di convincere i pochi elettori che stanno in mezzo a difendere Trump, ovvero a schierarsi contro.
Cosa dire del capo di accuse?
R. – Allora, la Costituzione statunitense – a volte lo dimentichiamo – è un testo del Settecento, estremamente scheletrico, ossuto, essenziale che dà delle indicazioni vaghissime. Si parla di alti crimini, di tradimento, di corruzione. Ora è chiaro che dentro una formulazione così generica poi ci può essere messo un po' di tutto, no? I capi di imputazione di Johnson nel ’68 furono addirittura 11. E’ presumibile che ce ne saranno tre o quattro. E’ possibile che si parli di corruzione, perché Trump avrebbero cercato di utilizzare aiuti pubblici, aiuti militari all’Ucraina per trarne vantaggio elettorale personale l'anno prossimo, per aprire un'indagine contro suo avversario possibile, Joe Biden; è ostruzione di giustizia, perché in buona sostanza Trump ha cercato di bloccare in tutti i modi queste indagini, ha impedito e impedisce a membri dell’amministrazione di deporre; e poi c’è ovviamente l’abuso di potere.
Ultimo aggiornamento ore 14.06 del 6.12.2019
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