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Federico Fellini Federico Fellini  

100 anni fa nasceva Fellini: gli aspetti inediti della sua fede

L’anno centenario della nascita Federico Fellini è l’occasione per indagare sulla fede personale e sulla religiosità presente nei film del grande regista. Promotori dell’iniziativa sono la Pontificia Università Salesiana, l’Istituto di Scienze religiose “Alberto Marvelli” e il Centro culturale Paolo VI di Rimini. Intervista al professor don Renato Butera

Roberta Gisotti – Città del Vaticano

“Ho bisogno di credere. Federico Fellini e il sacro”: è il titolo del progetto, avviato già da mesi sotto l’egida della Pontificia Università Salesiana, l’Istituto di Scienze religiose “Alberto Marvelli” e il Centro culturale Paolo VI di Rimini, con la collaborazione di critici cinematografici, studiosi e amici del grande regista. Si vuole indagare, sulla tormentata ricerca del senso trascendente della vita, che accompagna l’esistenza di Fellini e si riflette con evidenza nella filmografia del geniale cineasta italiano, tra i più acclamati a livello internazionale e tra i più studiati nella fantasiosa e variegata poetica, impressa con tanta originalità nelle sue pellicole.  

Il progetto prevede un Convegno concepito in due fasi nelle città che hanno segnato la vita personale e artistica di Fellini: a Rimini il 7 marzo “L’infanzia del mondo” e a Roma il 21 marzo “Dov’é Dio?”, oltre ad una Ricerca storiografica sull’infanzia e l’adolescenza del regista e una Mostra sull’immaginario religioso, che traspare nei suoi film. A queste iniziative si aggiungono due Cortili degli studenti, che saranno organizzati sotto l’egida dal Pontificio Consiglio della Cultura e del suo presidente cardinale Gianfranco Ravasi ed una Rassegna cinematografica al Cinema Greenwich di Roma.

Un tema quello della religiosità nella narrativa felliniana, che ha incontrato controverse interpretazioni, come spiega don Renato Butera, docente di Storia del Cinema nella Facoltà di Scienze della Comunicazione alla Pontificia Università Salesiana, tra gli organizzatori del progetto su Fellini e il sacro.

Ascolta l'intervista a don Renato Butera

Qual è stato il rapporto di Fellini con la fede, nell’infanzia aveva avuto una solida educazione cattolica ma poi cos’è accaduto?

R. - Non è accaduto niente di strano se non il corso della vita di un giovanotto educato da una madre fervente cattolica, Ida Barbiani e da un papà che in un ambiente come quello romagnolo certamente avrà influito in questo dialogo tra la religiosità al femminile e quella un po' più scettica, di sinistra, socialista del contesto romagnolo. Lui ha ricevuto la formazione cristiana, con i sacramenti, con le frequentazioni ed ha sviluppato insieme ai suoi amici un senso di Dio e della religiosità buonissimo, come tantissimi altri. Poi ciò che lo trasforma certamente è il suo addio a Rimini e il suo arrivo a Roma, dove comincerà la sua esperienza di giornalista, di vignettista, di sceneggiatore e poi di regista, con una compagna di eccezione, anche dal punto di vista della fede, Giulietta Masina ma le sue curiosità e questo bisogno di credere che crescerà sempre di più lo porteranno a motivare e a conoscere meglio il mistero con le sue letture junghiane e le sue frequentazioni di Gustavo Rol, noto sensitivo, fino a ridire ancora una volta ai microfoni di Sergio Zavoli: “Ho bisogno di credere”.

La religione nei film di Fellini viene raccontata sovente con tratti ironici, stravaganti, ritenuti spregiudicati e questo divise la comunità ecclesiale nel giudizio verso il regista, a partire dalle feroci critiche, apparse su L’Osservatore Romano, a “La dolce vita” nel 1960.

R. -  Sono d'accordo ma non fino in fondo, perché da un'analisi attenta della sua cinematografia si può notare innanzitutto un inizio segnato da questa ricerca profonda e da questa frequentazione di temi religiosi e spirituali molto evidenti, soprattutto in quella che viene riconosciuta come la triade della grazia della redenzione, che sono i tre film “La strada”, “Il bidone” e “Le notti di Cabiria”, dove il senso di Dio, della sua presenza, del senso del suo perdono e del cambiamento sono molto forti. Lo stesso è ne “La dolce vita”, che è ciò che causò questo incidente, che mise i critici cattolici dell'epoca - in un contesto sociale e culturale diverso dal presente - a non cogliere fino in fondo ciò che invece altri cattolici, come padre Arpa, come padre Fantuzzi, come padre Taddei avevano colto: cioè il senso della vita così disturbato tra questo andare verso il senso del nulla e invece il bisogno di qualcosa di più profondo, nella società borghese e nobile di una Roma, che anche in quell'epoca - sconvolta o spinta dal boom economico - stava cambiando. E poi comincia ad essere un po' più cinico, un po' più ironico, verso la Chiesa e gli uomini di Chiesa soprattutto nelle sequenze di “Tre passi dal delirio” in “Toby Dammit”, “Le tentazioni del dottor Antonio” in “Boccaccio '70” e in  “8½” che sono forse quelle più forti, più pungenti. Ma anche la confessione che invece si ritrova con don Balosa in “Amarcord” ha invece il senso di un rispetto molto forte verso quelle che sono le cose di Chiesa ma anche con la simpatia con cui trattare un uomo di Chiesa, questo don Balosa, il famoso prete della confessione. Però poi c'è questo ritorno verso la ricerca del sacro, che con “Ginger e Fred” comincia ad essere abbastanza presente ed arriva in quel bisogno di silenzio dell’ultimo film “La voce della luna” per cercare di capire meglio le cose della vita e del mistero.

Passato un secolo dalla nascita e quasi 27 anni dalla morte di Fellini si può dunque guardare alla sua opera con sguardo nuovo anche su questo aspetto del sacro che pervade i suoi film. La comunità ecclesiale è ricompattata su un giudizio positivo?

R. - Secondo me sì perché ricomponendo la vicenda di Fellini e della sua cinematografia in particolare e anche vedendo questo suo anelito alla comprensione del mistero, di quello che c'è al di là della vita e che è ben rappresentato in quel nebbione in cui si trova il nonno in Amarcord; in un certo senso, quello è Fellini che si trova in un nebbione ed ha bisogno di uscirne perché gli ricorda la morte e se la morte è così, non è una bella cosa, dice il nonno, a significare: ‘io ho bisogno di trovare un senso a questo nebbione’. Ed è un po' quello che Fellini fa nel corso della sua esperienza, anche incontrando  l'esoterico in non troverà tutte le risposte e continuerà in poi in questa ricerca per trovare il senso della vita, il senso di Dio e probabilmente l'avrà trovato.

 

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20 gennaio 2020, 14:28