L’ Africa nel cuore di Papa Francesco
Antonella Palermo – Città del Vaticano
Dal Burkina Faso al Mali, dal Niger alla Nigeria, dalla Repubblica Democratica del Congo al Corno d’Africa, senza dimenticare gli sforzi per placare le tensioni in Centrafrica. Papa Francesco guarda all’Africa con trepidazione e speranza.
I conflitti incrociati nel crocevia nigerino
Tra i Paesi citati dal Papa nel suo discorso al Corpo diplomatico, figura il Niger, dove solo due giorni fa ottantanove militari sono stati uccisi da jihadisti che hanno attaccato il loro accampamento a Chinagoder, nell'ovest del Paese ai confini con il Mali. Nello scontro con i soldati, 77 miliziani sono rimasti uccisi. Morena Zucchelli, capo missione Coopi in Niger, illustra la stratificazione dei conflitti nel Paese attraversato dal 2015 da una crisi importante con la Nigeria nella zona di Diffa, al sud, colpita da un’ondata di terrorismo legata a Boko Haram. “A questo conflitto - spiega - due anni fa si è aggiunta una crisi nel nord, nella zona tra Tibaleri e Tahoua, due regioni del Niger che sono state toccate dalla problematica del jihadismo, in forma non troppo forte. Da agosto dell’anno scorso, questa situazione è diventata molto più complicata e ovviamente cambia ulteriormente lo scenario in questo Paese. Inoltre, sempre l'anno scorso, nella zona a sud, a Maradi, al confine con la Nigeria, a causa di grossi interventi da parte delle forze armate nigeriane contro gruppi terroristi e di banditi, molta popolazione si è rifugiata nel Niger”. Il Niger dunque ha tre fronti aperti di conflitti molto impegnativi e sono tantissimi gli sfollati e i rifugiati all'interno.
Il sostegno umanitario di Coopi in Niger
Coopi è presente dal 2012 in Niger con progetti, inizialmente, di nutrizione e sicurezza alimentare. Tre anni dopo sono stati avviati anche progetti di risposta psico-sociale immediata alle emergenze per gli sfollati e i rifugiati soprattutto dalla Nigeria. “C’è da dire che è molto difficile riuscire a intervenire perché spesso il nostro personale è a rischio”. Il Paese ha fatto registrare gravi crisi alimentari. Numerose organizzazioni di cooperazione internazionale sono intervenute in questo ambito di assistenza. “Metà del Paese è deserto e l'altra metà, la zona più al confine con il Benin, il Burkina e la Nigeria, è irrigata dal fiume Niger e dal fiume Komadugu, quindi può soddisfare solo in parte le necessità alimentari del Paese”, spiega Zucchelli. “In ogni caso dipende moltissimo dalle importazioni di alimenti, per esempio le cipolle sono quasi sempre importate per la metà dell'anno dalla Nigeria e da altri Paesi vicini. In Niger ci sono grandi difficoltà di risposta per quanto riguarda l'educazione alla salute. Inoltre, tutti questi gruppi armati si sono alleati con gruppi di banditi e delinquenti locali, e questo complica ancora lo scenario”, aggiunge Zucchelli. “Questi attacchi verso Tibaleri chiudono moltissime possibilità alla popolazione; per esempio, tutti i trasporti in moto nella zona di Tilaberi e Tahoua sono attualmente proibiti. La mobilità delle persone è molto limitata. E soprattutto non ci sono possibilità di raggiungere centri sanitari o anche centri scolastici, soprattutto nella zona a nord, al confine con Mali e Burkina Faso”.
Ma i nigerini non emigrano
Nonostante le gravissime condizioni della popolazione, i nigerini sono un popolo che non è mai emigrato, un popolo di grande accoglienza, anzi. Il Niger è un luogo di passaggio - ospita temporaneamente popolazioni del Sud Sudan, dell'Etiopia, dell'Eritrea, della Somalia - non ha sbocco al mare e la maggior parte della popolazione vive in aree rurali, in zone molto decentralizzate, di difficile accesso. Ciò favorisce la non fuoriuscita dal Paese. “È una popolazione di estrema gentilezza – conclude Zucchelli - con grandi capacità, una gran varietà di lingue e con una grande tradizione; però è una grande vittima di tre grandissimi conflitti di cui paga le conseguenze”.
La Somalia e il reinserimento dei profughi tornati dallo Yemen
Tra gli altri Paesi africani in cui Coopi è presente con i suoi progetti, c’è la Somalia. Anche qui la scia di sangue non risparmia la popolazione. Il 5 gennaio scorso tre statunitensi sono morti in un attacco condotto dal gruppo terroristico al-Shabaab contro la base di Camp Simba, nella contea di Lamu, lungo il confine con la Somalia, nel sudest del Kenya,e tre giorni dopo almeno quattro persone sono morte e altre 10 sono rimaste ferite in seguito all'esplosione di un'auto bomba vicino a un posto di blocco nell'area del Parlamento a Mogadiscio. “Mi auguro che si fermi il massacro inutile, questo insensato uccidere e basta e che torni la pace”: questo l’auspicio di Deka Warsame, capo missione in Somalia. “Siamo presenti sia al nord che al centro del Paese, in capitale. Portiamo avanti programmi di resilienza ma anche di emergenza”, spiega. “Cerchiamo di aiutare le persone che vivono nelle condizioni più gravi, i più vulnerabili, poiché la Somalia è colpita da disastri naturali e non naturali. A Mogadiscio sosteniamo i rifugiati che sono rientrati sia dal Kenya che dallo Yemen. Li aiutiamo a reintegrarsi nella comunità, con una adeguata formazione per avviarli ai mestieri che loro stessi desiderano fare. È gente che è stata via per più di vent’anni dal proprio paese e non sanno come riadattarsi”.
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