Gli ebrei accolti e salvati nei conventi
Eugenio Bonanata - Città del Vaticano
Oltre 6 mila ebrei romani sui circa 10 mila presenti in città furono salvati grazie all’azione diretta o indiretta della Chiesa e del Vaticano fino al 4 giugno 1944. A documentare questo nesso è la ricerca di Dominiek Oversteyns, diacono olandese della famiglia spirituale ‘L’Opera’ (FSO), che a partire dal 2000 ha raccolto migliaia di fonti primarie sull’argomento. Si tratta di testimonianze di ebrei o di loro salvatori e documenti tratti da diversi archivi. Nulla proviene dagli archivi vaticani di quel periodo, che, come noto, verranno aperti il prossimo 2 marzo.
Prima del rastrellamento
La corposa mole di informazioni, già abbastanza nota agli addetti ai lavori, ha ispirato un Web Doc prodotto da Telepace che verrà pubblicato prossimamente. Un percorso che conferma come l’attività di protezione degli ebrei romani sia cominciata prima del rastrellamento al ghetto all’alba del 16 ottobre 1943. In particolare, c’è traccia del salvataggio di 714 dei 1.323 ebrei che prima del raid delle SS erano fuori dalle loro abitazioni alla ricerca di un nascondiglio più sicuro. Per 500 di loro si aprirono subito le porte di 49 conventi romani sui quali venne apposto il cartello ‘zona extraterritoriale’.
Gli interventi
Lo studio cita inoltre di numerosi interventi vaticani: 200 a favore dell’accoglienza di ebrei diretti agli istituti religiosi, molti dei quali fatti prima del 16 ottobre, e 240 all’indirizzo dei nazisti per ottenere la liberazione di ebrei arrestati.
235 isitituti religiosi
La ricerca di Oversteyns sostiene che siano stati 235 gli istituti religiosi sparsi in tutta Roma coinvolti nell’intero periodo. In questi luoghi il Vaticano ha fatto giungere aiuti materiali di varia natura. “Essenzialmente cibo”, precisa padre Peter Gumpel che è il relatore della Causa di Beatificazione di Papa Pacelli. L’anziano gesuita è un altro protagonista del Web Doc e parla tenendo a portata di mano la ‘positio’, cioè i testi del processo.
Il sostegno materiale
Il racconto di padre Gumpel si sofferma su alcuni dettagli, come il tour cittadino per la distribuzione di alimenti compiuto regolarmente da suor Pascalina Lehnert, la religiosa che governava l’appartamento di Pio XII, a bordo di un piccolo furgone guidato da lei stessa. “Il Vaticano – aggiunge – inviò cinquanta furgoni per fare rifornimento di viveri nel nord Italia”.
All’interno delle Mura Leonine
“La strategia – spiega Oversteyns – non fu quella di accogliere grandi gruppi in Vaticano, ma di suddividere gli ebrei in piccoli nuclei di due o tre persone nascondendoli in luoghi differenti per aumentare la probabilità di salvezza”. Le testimonianze conducono anche all’interno delle Mura Leonine dove dopo la liberazione sono stati trovati almeno 40 ebrei. Non erano romani. E sono disponibili anche i loro nomi. Nell’elenco c’è Alessandro Ballio di Trieste rifugiato nel Pontificio Collegio Teutonico fino al 4 giugno 1944 così come Elfride Heinemann, Giorio Manni e suo cugino Paolo Vittorio Nathan Rogers.
Il caso
Vi è poi il caso di Gino De Benedetti. Suo figlio Vittorio ha testimoniato che il padre venne portato a bordo un’auto del Vaticano al Palazzo Lateranense, dove in virtù di un passaporto falso fornito dalle autorità della Santa Sede rimase fino alla fine della guerra in qualità di bibliotecario del Seminario Maggiore Romano.
60 irruzioni
Ci si chiede se i tedeschi sapessero della presenza di ebrei all’interno degli istituti religiosi di Roma. Oversteyns invita a prendere in considerazione la retata delle SS, la notte fra il 21 e il 22 dicembre 1943, presso il Pontificio seminario lombardo che portò all’arresto di 10 ebrei. Kappler additò l’episodio come prova e chiese lumi a Berlino. La risposta arrivò il 5 gennaio ordinando di fare ispezioni laddove si venisse a conoscenza di situazioni del genere. Cosa che avvenne nel giro di tre settimane a partire dal primo febbraio. Secondo lo studio, il bilancio complessivo di questa campagna fu di 60 irruzioni in 35 conventi – l’ultima il 2 giugno 1944 – 46 arresti e 39 morti, cioè persone uccise in seguito alla deportazione.
La prudenza
“I nazisti quando hanno saputo dell’esistenza di rifugiati nascosti, hanno agito”, sottolinea Oversteyns. “E questo prova che il silenzio di Pio XII aveva delle ragioni. Se avesse sollevato in modo diretto ed eclatante l’attenzione dell’opinione pubblica, avrebbe con ogni probabilità provocato un numero maggiore di ispezioni da parte dei nazisti, mettendo così a repentaglio la vita di oltre 6 mila persone”.
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