La finta malattia che ha salvato decine di ebrei
Eugenio Bonanata – Città del Vaticano
Un’azione ‘creativa’ che ha permesso di salvare decine di vite umane dalla furia dei nazi-fascisti. Al Fatebenefratelli, sull’Isola Tiberina, a pochi passi dal ghetto di Roma, si sviluppò una pericolosa malattia infettiva. In realtà venne completamente inventata dai medici, che la chiamarono ‘morbo di K’. Questo finto virus scongiurò l’incubo delle ispezioni facilitando così l’accoglienza dei perseguitati. “L’ospitalità ha riguardato una quarantina di ebrei nel periodo tra il 16 ottobre 1943 e il 4 giugno 1944”, precisa Claudio Procaccia, Direttore del Dipartimento Cultura della Comunità Ebraica di Roma
La salvezza
“Il Fatebenefratelli è stata una salvezza”, dice Gabriele Sonnino arrivato all’ospedale con la sua famiglia che si era rifugiata all’interno di una baracca in periferia nella zona della Magliana. Nonostante all’epoca avesse solo 4 anni, Sonnino ricorda quell’esperienza in modo nitido. “Ci sono rimasto una trentina di giorni – racconta – alcune volte dormendo in corsia in mezzo agli ammalati”.
La complicità
Una iniziativa rischiosa, animata da tanta generosità. Fra Giuseppe Magliozzi, medico del Fatebenefratelli da tanti anni, ha conosciuto molti dei confratelli presenti in quel periodo. E guardando alla vicenda sottolinea il loro impegno così come quello dell’allora priore, il polacco Fra Maurizio Bialek. Ma l’invito è di non trascurare ciò che fecero i collaboratori e anche la gente che viveva attorno.
Il cuore dei romani
Di fronte a tanti bambini e anziani in difficoltà, si è fatto largo il cuore dei romani. L’esperienza rientra in un clima di accoglienza, seguito allo shock della deportazione, che ha toccato un po’ tutta la città. “Un momento che offre molte soprese”, secondo il prof. Procaccia. “E’ poco noto – sostiene – che la popolazione di Roma abbia salvato gli ebrei a proprio rischio e pericolo, perché oltre l’80 per cento degli ebrei romani si è salvato”.
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