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Manifestanti palestinesi a Gaza contro il piano di pace del presidente Trump Manifestanti palestinesi a Gaza contro il piano di pace del presidente Trump

Piano Trump: appoggio di Israele, rifiuto palestinese. Aperture da Arabia ed Egitto

Ieri a Washington il presidente statunitense Trump ha presentato il suo piano di pace per il Medio Oriente, che prevede due stati indipendenti, Israele e Palestina, ma che già è stato bocciato dai palestinesi e da molti paesi arabi. Apprezzamenti solo da Arabia Saudita, Emirati Arabi ed Egitto

Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano

Donald Trump cerca di sbloccare la questione mediorientale, rilanciando la “soluzione dei due stati”, da sempre appoggiata dalla comunità internazionale, ma nel suo piano di pace prevede che Israele conservi tutti gli insediamenti di coloni creati dopo la guerra del 1967 in Cisgiordania, ottenga Gerusalemme come sua capitale indivisa e abbia il controllo della sicurezza della regione. I palestinesi potranno costituire uno Stato sulle aree che già possiedono, con capitale nei quartieri di Gerusalemme est che già controllano, e avranno compensazioni che raddoppieranno il loro territorio complessivo, con territorio oggi dello Stato ebraico al confine con l’Egitto. 

Trump: "un piano che consente a tutti di vincere"

Il presidente statunitense, che ha presentato il piano alla Casa Bianca insieme al premier israeliano Netanyahu, lo ha definito “un’opportunità per entrambi, che consente a tutti di vincere”, ma il leader palestinese Abu Mazen lo ha subito bocciato. Non bastano i 50 miliardi di dollari di investimenti promessi nel nuovo Stato palestinese, né il congelamento di nuovi insediamenti ebraici nei quattro anni previsti per il negoziato, perché il piano prevede anche che palestinesi non avranno un esercito, ma solo una forza di polizia, e dovranno bloccare le azioni terroristiche di Hamas.

Israele conserverà gli insediamenti in Cisgiordania

In base al documento di 80 pagine, definito dal presidente-tycoon “il più dettagliato della storia”, Israele conserverà gli insediamenti costruiti nel corso degli anni in Cisgiordania, con Gerusalemme sua “capitale indivisa”. Nessun luogo sacro cambierà gestione, e nessuno dovrà abbandonare la casa dove vive. Lo Stato ebraico dovrà però fare alcune concessioni territoriali, in particolare nell’area meridionale al confine con l’Egitto, e questo, secondo la mappa disegnata dagli americani, raddoppierà la zona sotto controllo palestinese. Inoltre si impegnerà a congelare i progetti di nuovi insediamenti per i prossimi quattro anni, per non compromettere gli sforzi per trovare un’intesa.

Il presidente Usa Trump e il premier israeliano Netanyahu alla Casa Bianca
Il presidente Usa Trump e il premier israeliano Netanyahu alla Casa Bianca

Gerusalemme est capitale dello Stato palestinese

La possibilità per i palestinesi di ottenere davvero uno Stato dipenderà dall’attuazione di queste condizioni, che verrà verificata nel corso dei quattro anni previsti per i negoziati. Gerusalemme Est, identificata con i quartieri di Kafr Aqab, la parte est di Shuafat o Abu Dis, potrà diventare la capitale dello stato palestinese, e gli Usa apriranno lì un’ambasciata. I territori della nuova nazione saranno tutti collegati con strade, ponti o tunnel, anche se non saranno tutti geograficamente contigui. L’accesso alla spianata dei templi e alla moschea di al-Aqsa sarà garantito a tutti i fedeli, e resterà sotto la gestione giordana. Secondo il documento, i palestinesi avranno quattro anni di tempo per considerare la proposta, riprendere la trattativa con Israele, e definire i dettagli del loro Stato.

D'accordo anche il rivale di Netanyahu, Benny Gantz

Sul piano economico, i palestinesi riceveranno aiuti per 50 miliardi di dollari, che secondo Trump rilanceranno la loro economia, dimezzando la povertà, raddoppiando il prodotto interno lordo, e creando un milione di posti di lavoro. Rivolgendosi direttamente ad Abu Mazen, finora escluso dalla trattativa, il presidente statunitense ha garantito: “Se accetterete questa opportunità gli Stati Uniti, e molti altri Paesi, saranno al vostro fianco per aiutarvi”. Tanto il premier Netanyahu, che oggi è a Mosca per discutere il piano Trump con Putin, quanto il suo sfidante alle elezioni del 2 marzo, il centrista Benny Gantz, si sono impegnati ad attuare la proposta degli Usa, anche se il leader del Partito Blu e Bianco non ha partecipato alla presentazione e ha evitato di farsi fotografare insieme al suo rivale.

Il presidente dell'Autorità palestinese Abbas critica il piano Trump
Il presidente dell'Autorità palestinese Abbas critica il piano Trump

Mahmoud Abbas: "Gerusalemme non è in vendita"

Netto rifiuto viene dalla parte palestinese: l’annuncio del piano ha provocato scontri alla periferia di Ramallah fra centinaia di dimostranti e reparti dell'esercito israeliano. Il presidente dell'Autorità nazionale palestinese Mahmoud Abbas, più noto come Abu Mazen, che già prima dell'annuncio ufficiale si era detto contrario alla proposta, subito dopo l'annuncio del presidente americano ha rincarato la dose, dichiarando che "Gerusalemme non è in vendita per il duo Trump-Netanyahu". Hamas ha annunciato per venerdì una “giornata della collera”, perché "Gerusalemme sarà sempre una terra per i palestinesi”.

Il "no" di Giordania, Turchia e Iran

Contraria al piano anche la Giordania, attore chiave nella questione mediorientale, che ha messo in guardia dalle "pericolose conseguenze" di una "annessione delle terre palestinesi" a Israele, ribadendo il suo impegno per uno Stato palestinese lungo i confini del 1967, prima della Guerra dei sei giorni. Per la Turchia il piano Trump è "un piano di annessione" che mira a "uccidere la soluzione a due Stati": "è nato morto". Una proposta che è "destinata al fallimento" anche per l’Iran.

Le aperture di Arabia Saudita, Emirati Arabi ed Egitto

La speranza degli Usa è che i palestinesi accettino il testo come base negoziale, spinti anche dall’Arabia Saudita, che con gli Emirati Arabi Uniti ha espresso apprezzamento per gli "sforzi" del presidente Trump. Insieme a Bahrain e Oman, gli Emirati hanno inviato il loro ambasciatore ad assistere all'annuncio del presidente Trump insieme a Netanyahu, anche se non riconoscono lo stato di Israele. Per l’ambasciata degli Emirati negli Stati Uniti in piano "offre un importante punto di partenza per il ritorno ai negoziati nel quadro internazionale guidato dagli Usa". L'Egitto invita le due parti ad un esame "accurato" del piano “per conseguire la pace e aprire canali di dialogo", aggiungendo che i negoziati devono puntare ad "una pace giusta ed esaustiva e alla creazione di uno stato palestinese indipendente".

L' Europa: riprendere i negoziati per la soluzione dei due Stati

L'Unione europea infine, per bocca dell'Alto rappresentante per gli affari esteri Josep Borrell, “è pronta a lavorare per la ripresa degli importanti negoziati per risolvere tutti i problemi rimanenti e raggiungere una pace giusta e duratura". La soluzione dei due Stati, ricorda Borrell, è “l’unico modo realistico per porre fine al conflitto", per cui "L'Ue studierà e valuterà la proposta avanzata" dagli Stati uniti, cercando “una soluzione praticabile che tenga conto delle legittime aspirazioni sia dei palestinesi che degli israeliani, rispettando le risoluzioni dell'Onu e i parametri internazionali".

Riotta: i palestinesi non accetteranno mai nuovi confini per Israele

Sulla proposta di Trump, Andrea De Angelis ha raccolto il commento di Gianni Riotta, giornalista de "La Stampa", esperto di Stati Uniti, già direttore del Tg Uno e de "Il Sole 24 ore".

Ascolta l'intervista a Gianni Riotta

R. - L’accordo di pace serve al premier israeliano Netanyahu per tornare in campagna elettorale con un fortissimo endorsement da parte del presidente americano Trump. È chiaro che un piano di pace che assegna ad Israele nuovi confini, oltre quelli seguiti alla guerra del 1967, tutta la valle del Giordano, l’area strategica a est quasi fino alla Giordania, non potrà mai essere accettata dai palestinesi, ai quali dovrebbero andare 50 miliardi di aiuti economici che Trump promette. Però il piano è soltanto propaganda elettorale che influenzerà probabilmente le elezioni israeliane del 2 marzo ma non vedrebbe certo mai confini in Medio Oriente disegnati sulla base di questo piano.

La difficoltà di un piano di pace per quella regione è una difficoltà storica. Mai nessuno è riuscito ad ottenere un risultato concreto …

R. - È difficile porre qualunque piano di pace tra israeliani e palestinesi, tanto è vero che dal Dopoguerra nessuno ci è mai riuscito se non parzialmente e se non in momenti drammatici e con – ancora - una pace mai definitiva ed un accordo definitivo tra israeliani e palestrinesi. Un piano che non nasca dai contendenti sul campo, cioè che non sia generato da Israele e dai palestinesi, con la mediazione degli Stati Uniti, internazionale, degli europei, dell’Onu - di chi vogliamo - non nascerà mai. Non nascerà mai un piano che venga calato dall’alto e che sul punto cruciale come la capitale Gerusalemme, un punto su cui poi le Nazioni Unite, molti interlocutori – religiosi, politici, diplomatici, civili e culturali – obietterebbero. Questa, come molte iniziative diplomatiche dell’amministrazione Trump - pensi la Corea - è molto forte sul piano mediatico, sul piano della propaganda sui social, però assai ineffettivo sulla realtà del campo.

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Il piano di Trump e le reazioni nel mondo
29 gennaio 2020, 09:39