Ocean Viking: fermare le violenze impunite sui migranti in Libia
Roberta Gisotti – Città del Vaticano
Il giorno dopo l’ultimo sbarco in Italia, quello della nave Ocean Viking, carica di 403 migranti, tra cui 12 donne incinte, approdata ieri pomeriggio a Taranto, si ripropone l’interrogativo inquietante di cosa accadrà ora di queste vite salvate dal mare. Soprattutto ci si chiede che fine faranno i minori, ben 149, di cui 132 non accompagnati
Gravissime violazioni nel silenzio del mondo
Sovente infatti l’interesse della stampa diminuisce quando le polemiche politiche si spostano su altri possibili arrivi nei porti italiani, o su come evitarli o su come ripartire i profughi fuori dai confini nazionali. Resta il dramma di quanti dopo inenarrabili disavventure nei loro viaggi via terra e via mare scendono infine dalle navi, che li hanno tratti in salvo dalle acque del Mediterraneo.
Bambini e adolescenti abusati e torturati
Raffaella Milano, direttrice dei Programmi Italia-Europa dell’organizzazione umanitaria Save the Children, punta il dito contro l’Europa “sorda di fronte al grido di aiuto delle vittime di indicibile violenza nei campi di detenzione in Libia”.
R. - Abbiamo ascoltato dalla diretta voce dei protagonisti spesso molto piccoli gli orrori che hanno vissuto nei Centri di detenzione in Libia, le continue violenze, gli abusi sessuali nei confronti di bambine, adolescenti, le torture... Insomma davvero tutto il male possibile questi bambini e questi adolescenti l'hanno incontrato. Questo ci deve far riflettere come Europa sul fatto che a poca distanza da noi possa avvenire tutto questo, ci deve spingere a maggior ragione oggi durante un conflitto che sta ancor di più infiammando la Libia su come procedere per porre in salvo tutte le persone che si trovano in questa situazione, in questi Centri di detenzione. Il fatto che queste torture, che queste violenze avvengano è stato certificato non solo dalle testimonianze dirette ma anche dalle relazioni delle Nazioni Unite. C'è bisogno che l'Europa prenda un'iniziativa molto più decisa sia per salvare le persone che tentano la fuga nel Mediterraneo sia per trarre in salvo le persone che sono a tutt'oggi in Centri recluse in Libia.
Spesso il dibattito sui migranti si risolve in sterili polemiche interne ai Paesi o tra Paesi europei. La questione però è internazionale e di ambito Onu, che ha proprie agenzie dedicate ai rifugiati e ai migranti. Ecco perché non si porta ad un livello globale la questione?
R. – Assolutamente sì, tra l’altro le agenzie delle Nazioni Unite, già - comunque nei limiti di quanto è possibile - sono attive anche in Libia e certamente la questione Libia va trattata a livello di Nazioni Unite. Però non possiamo dimenticare che tra le diverse crisi mondiali, questa interpella direttamente proprio l'Europa. Sappiamo che tanti Paesi del mondo sono impegnati nell'accoglienza dei rifugiati; l'Europa non è l'area del mondo che accoglie il maggior numero di rifugiati. Sono altri gli Stati che svolgono questo ruolo. Tocca quindi anche all'Europa esercitare una sua responsabilità in questo scacchiere più ampio. Certamente è necessario un quadro d’azione delle Nazioni Unite ma questo non può significare per i Paesi europei non investire direttamente sul piano umanitario per fronteggiare questa crisi che avviene alle nostre porte.
Lei ricorda che ci sono le agenzie delle Nazioni Unite presenti in Libia: evidentemente questa presenza non è adeguata se si continuano a consumare tanti delitti.
R. - Questo è quello che loro stesse sostengono. L'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, pure di recente, ha ribadito proprio la difficoltà che incontra nel cercare di raggiungere tutte le persone che si trovano anche in questi campi irregolari e illegali di detenzione e la difficoltà ad agire in quel contesto. Quindi sicuramente va supportato ogni sforzo a partire proprio da quello delle Nazioni Unite per cercare di agire su due livelli. Da un lato sicuramente c'è una diplomazia all'opera, lo abbiamo visto che sta cercando con fatica di intervenire per dare alla Libia un futuro diverso, quindi per fare in modo che il Paese possa trovare una sua stabilità però nel frattempo che questi dialoghi diplomatici vanno avanti c'è d’altro lato un'emergenza umanitaria. Quindi in attesa che la diplomazia auspicabilmente riesca a trovare una soluzione di pace interna c'è bisogno di affrontare più energicamente la sfida umanitaria, perché è insopportabile solo pensare che dei bambini e degli adolescenti debbano vivere a così poca distanza da noi queste situazioni di assoluta violenza.
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