A Pau incontro Francia-Sahel per la lotta al jihadismo
Michele Raviart – Città del Vaticano
Il Presidente francese Emmanuel Macron incontrerà oggi a Pau, nel sud-ovest della Francia, i capi di Stato dei cinque Paesi del G5 del Sahel: Burkina Faso, Ciad, Mali, Niger e Mauritania. Obiettivo dell’incontro è fare il punto sulla lotta al jihadismo e sull’impegno militare francese nell’area. L’incontro, previsto inizialmente per il 16 dicembre, è stato rimandato a causa di un attacco fondamentalista alla base militare di Inates che è costato la vita a 71 soldati dell’esercito nel Niger. Lo stesso esercito francese ha subito a fine novembre in Mali la perdita di 13 soldati in Mali, sette dei quali provenienti proprio da Pau.
Un’impennata devastante di terrorismo
Negli ultimi mesi i gruppi jihadisti che operano nel Sahel, tra cui Boko Haram e altre milizie legate allo Stato Islamico e ad Al-Qaeda, hanno infatti aumentato la loro attività contro obiettivi militari e civili. 35 persone, in maggioranza donne, sono state uccise la notte di Natale in un attacco a un avamposto militare in Burkina Fase, mentre venerdì scorso 25 soldati nigerini sono morti al confine tra Niger e Mali. Un’”impennata devastante del terrorismo”, l’ha definita al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite Mohammed Ibn Chambas, inviato dell’Onu per l’Africa occidentale e il Sahel, con oltre 4 mila morti solo nel 2019. In particolare è critica la situazione in Burkina Faso, dove i morti sono passati da 80 nel 2016 a oltre 1.800 lo scorso anno. Tra le ultime vittime sette bambini e quattro donne uccise in un attentato dinamitardo.
Oltre 4 mila i soldati francesi in Sahel
L’incontro di oggi, al quale parteciperà anche il Segretario generale dell’Onu Guterres, il presidente della Commissione dell’Unione africana Moussa Faki e il presidente del Consiglio europeo Charles Michel, sarà decisivo per capire il futuro dell’impegno francese, spesso contestato dagli stessi Paesi del Sahel. A combattere contro i jihadisti nell’area sono stanziati infatti 4500 soldati francesi nell’ambito della forza antiterrorista “Barkhane”, come anche 13 mila caschi blu della missione Onu di peacekeeping “Minusma” in Mali.
Una presenza contestata
Venerdì scorso migliaia di persone sono scese in piazza nella capitale maliana Bamako per richiedere la partenza delle truppe militari straniere e molti hanno percepito l’incontro di Pau più come una “convocazione” da parte del presidente Macron che come un invito. Molti quindi gli interessi in gioco, come spiega a Vatican News l’africanista Enrico Casale.
R. - L'importanza dell'incontro sta nel fatto che la Francia continua a mantenere il suo impegno in quell'area particolarmente delicata che è il Sahel. Un impegno che non era così scontato fino a qualche tempo fa perché a dicembre l'esercito francese ha perso 13 uomini in un'unica operazione contro i militanti jihadisti. Più volte la Francia ha cercato di ripensare a questo suo impegno, quindi il fatto che Macron riceva i presidenti del G5 è importante per rinsaldare i rapporti con questi Paesi che sono continuamente in prima linea contro il fondamentalismo islamico.
Negli ultimi mesi c'è stata una sorta di recrudescenza di attacchi da parte di queste forze jihadiste, perché?
R. - I gruppi fondamentalisti islamici vogliono ribadire la loro forza e il loro controllo del territorio in quell'area. È una galassia di movimenti e gli attacchi sono continui sia contro le postazioni della polizia sia contro quelle dell'esercito, dei caschi blu e dei francesi. Il territorio è molto vasto e molto difficile da controllare in modo serrato. Quindi è difficile scovare questi movimenti, anche se recentemente le reazioni da parte delle forze di sicurezza locali sono state molto più forti e questo significa che c’è stata una maggiore formazione e una migliore organizzazione delle forze locali.
Da parte di questi cinque paesi - Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania e Niger com'è vista questa presenza francese? È necessaria e richiesta oppure viene percepita come un’intromissione negli affari interni dei Paesi?
R. - È un po' ambivalente la cosa nel senso che certamente la Francia è in quell'area per tutelare i propri interessi - pensiamo all'uranio del Niger, all'oro del Mali ma anche a tutta una serie di rapporti commerciali molto forti. D'altra parte però è vero che senza il supporto della Francia molto probabilmente tutta quest'area sarebbe già caduta nella maglia del terrorismo islamico e quindi avrebbe subito una presenza molto forte e decisa da parte dei jihadisti. Teniamo presente però che non esiste soltanto la Francia sul campo, ma ci sono anche gli Stati Uniti, che mantengono delle basi e continuano ad osservare costantemente l'intera area, scambiando informazioni con la Francia e le forze armate francesi e locali.
Papa Francesco nel suo recente discorso al corpo diplomatico ha parlato anche di Africa, dove spesso si muore solo per il fatto di essere cristiani…
R. -Papa Francesco chiaramente ha ragione: si muore per essere cristiani in quell'area. Spesso e volentieri si muore anche essendo musulmani, nel senso che questi jihadisti portano avanti un'idea fondamentalista dell'islam che non ha niente a che vedere con l'islam e quindi attaccano non soltanto i cristiani ma anche i musulmani. Penso per esempio alla Nigeria dove Boko Haram ha compiuto delle stragi proprio contro musulmani e non di cristiani. Però è chiaro che tutta questa situazione va tenuta sotto controllo sia dal punto di vista diplomatico sia dal punto di vista militare sia dal punto di vista economico, per prosciugare la povertà e riuscire a bypassare questa reazione violenta da parte di alcune frange della popolazione indigenti che si affidano al jihadismo.
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