Afghanistan: Ghani confermato Presidente, Abdullah contesta il risultato del voto
Michele Raviart – Città del Vaticano
In Afghanistan la Commissione per le elezioni ha stabilito che Ashraf Ghani ha vinto le consultazioni presidenziali dello scorso 28 settembre con il 50,64% dei voti e può entrare in carica per un secondo mandato. Il risultato tuttavia è stato contestato dal rivale storico Abdullah Abdullah, che, con circa il 40% dei voti ufficiali, si è autoproclamato vincitore e si è detto pronto ad annunciare un governo parallelo.
Le accuse di Abdullah
“La nostra squadra, basandosi su dati elettorali puliti, ha vinto”, ha detto Abdullah a poche ore dalla dichiarazione del risultato. “I frodatori sono la vergogna della storia”, ha ribadito, accusando Ghani di aver compiuto “un colpo di Stato nei confronti della democrazia”. Da parte sua il Presidente uscente si è detto pronto a formare un governo “aperto a tutto il popolo dell’Afghanistan”.
L’obiettivo è il ritiro delle truppe internazionali
Quello che emerge, spiega Marco Lombardi docente di Sociologia all’Università Cattolica di Milano e presidente del centro di ricerca Itstime, “è un Afghanistan diviso, in cui il vero problema è cercare di capire chi controlla chi a cominciare dai talebani, che perdono pezzi e per strada, e dalla necessità, soprattutto degli americani di uscire dal Paese con le loro 13 mila truppe prima delle elezioni”. In generale, continua, ai Paesi internazionali che hanno truppe in Afghanistan di questo Paese “non interessa più niente dopo vent'anni di guerra. Interessa uscirne lasciando una limitata possibilità di intesa tra le parti affinché si aggiustino tra loro a rimettere in piedi quei pezzi verso una qualche forma di un Afghanistan che non conosciamo”.
Uno scenario simile al 2014
Questo stallo politico ricorda la situazione del 2014, quando Abdullah fu sconfitto da Ghani e i sostenitori di quest’ultimo protestarono con violenza in tutto il Paese. Solo la mediazione degli Stati Uniti, allora governati dal Presidente Barack Obama, permisero la creazione di un governo condiviso con Ghani alla presidenza e Abdullah suo vice.
Negoziati tra Usa e talebani
Oggi l’amministrazione Trump ha come obiettivo quello di ritirare le truppe militari dal Paese e appena quattro giorni fa ha proclamato una tregua di sette giorni con i talebani, e lo stesso Presidente statunitense si è detto ottimista sui negoziati per una possibile tregua. I talebani, a loro volta, si sono espressi contro la rielezione di Ghani, definita “illegittima” e “contraria al processo di pace”.
Un difficile processo democratico
“I talebani hanno osteggiato in maniera molto dura il processo di votazione”, spiega ancora Lombardi: “ricordiamoci che hanno votato 1,8 milioni di afghani su 9,6 milioni di aventi diritto con grandissimi problemi ai seggi elettorali, bloccati in genere dai talebani, che sono contro il processo elettorale e devono mantenere questa posizione per il ruolo che hanno”. D’altra parte, aggiunge, “c’è una ‘realpolitik’ con gli americani su un canale parallelo. In fin dei conti stanno cercando anche loro la via della sopravvivenza con Ghani e non può essere una via che passa attraverso una scelta democratica, ma solo un accordo con le altre potenze”.
Si rischia un aumento delle violenze
Il rischio, in questo contesto è quello di un aumento delle violenze, a causa della frammentazione dei gruppi nel Paese. Qualunque accordo, conclude Lombardi “porterà a delle forme di violenza spicciola a livello locale. Minori donne e bambini saranno quelli che ne faranno le spese, perché maggiore e la turbolenza e maggiore è la possibilità di cancellare, posticipare o modificare un accordo dal quale alcuni si sentiranno esclusi”
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