Bulli e bullizzati: dove sono gli adulti per aiutare i giovani?
Roberta Gisotti – Città del Vaticano
Quattro ragazzi su dieci hanno subito atti di bullismo, aggressioni fisiche e o psicologiche, sempre più spesso postate anche on line, tanto che la paura di esserne vittima assale ormai più di un adolescente su tre, ovvero il 40 per cento di oltre 8 mila studenti delle scuole secondarie in tutta Italia, intervistati nell’ambito di una ricerca condotta all’Osservatorio indifesa di Terres des Hommes e ScuolaZoo.
Vittime e talvolta anche carnefici
Bullizzati e bulli, si scambiano talvolta i ruoli, il 10 per cento dei ragazzi ammette infatti di essere stato anche carnefice, la percentuale dimezza tra le ragazze. Se il bullismo colpisce in maggioranza i maschi, il cyberbullismo prende più spesso di mira le femmine: una su tre ha l’incubo di essere adescata in rete e teme di essere bersaglio di appellativi volgari. C’è poi il fenomeno del ‘trolling’, subito da quasi il 10 per cento degli adolescenti, che sono oggetto di provocazioni lanciate sui social, con messaggi irritanti, falsi, fuori tema senza senso, col solo obiettivo di disturbare la comunicazione e fomentare gli animi.
Vergogna, ansia, malessere
“Chi vive queste esperienze – evidenzia lo studio - sviluppa sentimenti di vergogna, ansia e malessere, anche fisico, e le conseguenze, come la bassa autostima, si possono protrarre fino all’età adulta se l’adolescente non viene correttamente aiutato a superare il trauma”. Per questo Paolo Ferrara, direttore di Terre des Hommes ricorda che “la violenza tra pari, online e offline, è una realtà con cui i nostri ragazzi e ragazze devono fare i conti. Realmente subìta, o soltanto percepita, entra nelle loro vite, probabilmente li agita e li condiziona e lascia dei segni sulla loro personalità”. “È una violenza – aggiunge - fatta di contatto fisico, ma ancora più spesso è un attacco alle proprie insicurezze, a quella identità che va formandosi, in modo sempre più marcato, proprio negli anni dell’adolescenza”.
Capire e parlare il linguaggio dei ragazzi
In questa Giornata non solo i ragazzi sono chiamati in causa ma soprattutto gli adulti, per lo più ‘estranei’ ai cambiamenti epocali di questa generazione. Come osserva Francesco Marinelli, caporedattore di ScuolaZoo, il sito seguito da 4 milioni di studenti, “noi viviamo ogni giorno i ragazzi, per questo conosciamo il loro linguaggio; la Generazione Z non è quella che spesso viene dipinta: è invece attenta ed altruista, si tratta solo di coinvolgerli nella maniera corretta e utilizzare i loro canali. Noi lo facciamo quotidianamente e riusciamo a portare loro i messaggi che le istituzioni e le associazioni vogliono trasmettergli”.
Giovani e adulti alleati
Giovani e adulti devono dunque allearsi per contrastare un fenomeno in crescita nella società digitale, che resta sovente silente, nonostante il cyberbullismo sia configurato in Italia dal 1917 come un reato, che resta però impunito fin tanto non venga denunciato e non sfoci in episodi drammatici che saltano agli onori della cronaca.
Aprire gli occhi per cambiare
A rendere l’idea del meccanismo semplice ma perverso che può rendere ragazzini ‘normali’ vittime o carnefici o complici di atti di bullismo - che in un baleno si amplificano in rete e divengono atti di cyberbullismo - è il video @pri gli Occhi# del regista Stefano Girardi, che racconta l’aggressione di un ragazzino da parte dei compagni in una mensa scolastica. Il corto, prodotto da Movie On, correda la ricerca dell’Osservatorio indifesa.
R. - Il problema è che nel bullismo e in particolare nel cyber bullismo esistono due generi di carnefici: quelli di primo grado, che sono quelli che attuano personalmente, anche fisicamente, la presa in giro o l’aggressione, e quelli di secondo grado, cioè quelle persone che nella migliore delle ipotesi, per paura di essere anche loro coinvolte, si girano dall’altra parte o peggio – e questo è proprio il caso del cyberbullismo - condividono il contenuto dell’azione di bullismo, che viene spesso filmato con dei telefoni, e lo amplificano, facendolo girare in modo virale su altri cellulari e in rete, creando ancora più danno rispetto all’atto di bullismo in sé, che - anche se grave - si esaurisce nel momento stesso, mentre la parte virtuale, virale, continua a girare sulle piattaforme sociale per sempre ipoteticamente. Quindi diventa un danno ancora più grave, perché è visto da più persone e rimane a continuare a testimoniare questa aggressività perpetuata nei confronti di una vittima.
Nel video si evidenzia quasi - uso un termine forse improprio - l’innocenza dei protagonisti che malversano il compagno, che pure si mostrano crudeli e l’incoscienza di altri, fra loro, che diffondono sui social le immagini di questa aggressione e di tutti quelli che stupidamente ci ridono sopra.
R. - Esatto. La problematica, secondo me, specialmente in questa età – nel caso specifico del corto sono studenti delle medie o primi anni delle superiori – è che questi ragazzi non si rendono conto della gravità dell’atto; pensano, visto che sono abituati ad essere tempestati di immagini di ogni genere, che quel filmato sia un simulacro, un video come tanti altri; non riescono a vedere che dietro quelle immagini c’è la storia di una persona che soffre. Quindi ci scherzano e lo condividono. Questa ‘innocenza’ nei confronti dell’atto violento è un altro atto violento, perché questi ragazzi non sono educati a comprendere le immagini in modo critico. Le vedono e le girano senza pensare. Per questo il corto si chiama “Apri gli occhi”, perché questi ragazzi non aprono veramente gli occhi; se lo facessero non farebbero questo genere di condivisioni.
A spezzare l’evoluzione drammatica del racconto è però una ragazzina che invece si ribella, apre gli occhi. È dunque questione di affermare il valore del coraggio, della solidarietà verso che subisce soprusi?
R. - Sì, perché poi la storia ce lo insegna. A volte, come sta succedendo oggi nel caso del pianeta, della coscienza ecologia, basta una sola persona come Greta Thunberg, una ragazzina di 17 anni, per cambiare. Basta una sola persona che si ribella ad innescare un’onda, in questo caso positiva. All’inizio del nostro corto parliamo invece di un’onda negativa, perché alcuni hanno fatto un atto negativo e lo condividono facendolo diventare sempre più grande; nello stesso tempo si può anche combattere per contrastarlo e bisogna fare un primo passo. A farlo può esser anche un singolo, perché questo poi ispira gli altri.
Nel video mancano gli adulti.
R. - Sì, nel video mancano proprio gli adulti perché parte di questo fenomeno è anche causata da un’assenza educativa da parte degli adulti che siano genitori, insegnanti …. C’è proprio una mancanza educativa. Spesso e volentieri lasciamo i nostri ragazzi davanti a questi device, che siano cellulari o tablet senza curarci di quello che guardano, quello che imparano e ciò su cui si formano. Questo è molto grave. È quindi un’assenza voluta, visiva: è una presenza per assenza.
ULTIMO AGGIORNAMENTO: 7 FEBBRAIO
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