Le elezioni legislative in Camerun tra speranza e divisioni
Andrea De Angelis – Città del Vaticano
Come ha rilevato appena due mesi fa la Conferenza Episcopale del Camerun, a spingere i cittadini a rivolgersi al proprio gruppo di appartenenza anziché alle Istituzioni è anche l’incapacità dello Stato di soddisfare i bisogni primari: sicurezza, lavoro, giustizia e salute. Temi che sono stati di conseguenza protagonisti anche della campagna elettorale nel Paese, conclusasi la scorsa settimana. Ieri si sono svolte le elezioni legislative in un clima di notevole sfiducia, specie da parte della popolazione più giovane. Sette milioni di persone sono state chiamate alle urne.
I tentativi di dialogo
In un contesto generale sicuramente difficile, non va dimenticato però l’impegno del Governo a rilanciare il dialogo tra le parti. In questo senso passi importanti allo scopo di mitigare le tensioni esistenti sono avvenuti anche grazie all’indizione delle elezioni del 9 febbraio. Il congresso di “dialogo nazionale” ha avuto luogo agli inizi di ottobre 2019 a Yaoundé, ponendosi come obiettivo primario la ricerca di soluzioni stabili alla crisi nel Paese, a fronte della percezione di marginalizzazione da parte delle comunità anglofona, questione questa che dal 2017 caratterizza la politica nazionale.
Le regioni anglofone
Le elezioni legislative sono dunque un passaggio cruciale per il miglioramento della situazione. Alcuni candidati delle opposizioni istituzionali, tra cui i membri del Social Democratic Front (SDF), hanno tuttavia rinunciato a correre in ragione delle precarie condizioni di sicurezza: diversi esponenti dell’SDF sarebbero infatti stati aggrediti da ribelli separatisti, come riporta il portale dell’Ispi. Le regioni anglofone del Paese, ribattezzate dagli insorti “Ambazonia”, hanno avuto vasta eco nei media, ma nessun riconoscimento da parte della comunità internazionale. Human Rights Watch, che parla di numerosi gruppi armati operanti nelle regioni anglofone, in un rapporto pubblicato nell’estate del 2018 accusava sia i combattenti separatisti che le forze di sicurezza di gravi violazioni dei diritti umani.
La carovana di pace
Chiedono il reinserimento sociale alcuni ribelli separatisti del Camerun che si sono rivolti al cardinale Christian Tumi, arcivescovo emerito di Douala, perché possa negoziare con le autorità politiche in proposito. Il porporato ha dichiarato che alcuni di loro hanno deposto le armi perché possa tornare la pace. Dal 2016 si sono fatte più pressanti le rivendicazioni dei camerunensi di lingua inglese sfociate poi in manifestazioni e proteste degenerate in sanguinosi scontri tra forze del governo e gruppi separatisti. Il grande dialogo nazionale, voluto come detto nell’ottobre scorso a Yaoundé da presidente Paul Biya per cercare una soluzione, non ha avuto i risultati sperati, anche per l’assenza di alcuni leader ribelli. Ora alcuni separatisti contano sull’aiuto del cardinale Tumi per stabilirsi pacificamente a Douala. Si tratta di giovani che vogliono lasciare le foreste perché non hanno da mangiare e temono per la loro salute. Dal novembre dello scorso anno il porporato guida una carovana di pace nel nord ovest e sud ovest del Paese (NOSO), promuovendo proprio il dialogo e la tolleranza.
La preoccupazione della Chiesa locale
Lo scorso dicembre i vescovi camerunensi hanno espresso la loro preoccupazione per il riaccendersi delle tensioni etniche nel Paese, da tre anni alle prese con la crisi secessionista delle regioni anglofone. Per i presuli, alla radice del tribalismo ci sono gli interessi politici di alcuni cittadini disonesti che strumentalizzano ed esasperano i sentimenti tribali dei più deboli per conquistare il potere. Nella lettera pastorale dei vescovi del Camerun firmata da monsignor Abraham Boualo Kome, presidente della Conferenza episcopale locale, anche l’invito a rispettare la dignità di ogni persona umana a prescindere dalla sua appartenenza etnica, considerando la diversità come una ricchezza. Nel testo l’appello poi ai leader politici e sociali camerunesi affinché lavorino per la soluzione dei conflitti “con uno spirito di pace e dialogo fraterno” e non istighino all’odio ed alla discriminazione.
La testimonianza di un missionario
“La voce della Chiesa spesso non piace, perché sta dalla parte degli ultimi, dei loro bisogni”. Si esprime così un missionario cattolico camerunense, intervistato da Giancarlo La Vella in merito alla difficile situazione del Paese africano. “La divisione tra francofoni e anglofoni – spiega – è frutto della colonizzazione”, e per risolvere un annoso conflitto “più volte i vescovi hanno chiesto che si promuova un dialogo veramente inclusivo”. Quindi la denuncia dell’uccisione di numerosi missionari, specialmente nella zona anglofona.
L’attentato terroristico di Boko Haram
In un contesto di violenze che vede la regione dell'Estremo Nord teatro di frequenti attacchi terroristici, alla vigilia del voto il gruppo jihadista Boko Haram ha rivendicato l'uccisione, sabato notte, di quattro persone in due attacchi sferrati nelle città di Dzamazaf e Tagawa, fra i maggiori poli elettorali del Paese. Lo riporta l’agenzia Nova. Gli aggressori avrebbero incendiato decine di case nelle due città. La regione dell'Estremo Nord, bagnata dal lago Ciad, è stata più volte teatro di simili attentati, poi rivendicati da Boko Haram.
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