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Bambino soldato in Sud Sudan Bambino soldato in Sud Sudan 

Giornata internazionale contro l'uso dei bambini soldato

Un esercito di 250 mila minori, maschi e femmine: combattono in almeno 14 Paesi, abusati fisicamente e psichicamente. L’Onu ha vietato sulla carta di arruolarli ma il reclutamento prosegue. L’Unicef denuncia: mancano fondi per reintegrare i bambini soldato. Intervista ad Andrea Iacomini

Roberta Gisotti – Città del Vaticano

Sono passati 20 anni dal divieto imposto dall’Onu agli Stati di reclutare nei conflitti armati minori di 18 anni, elevando la soglia di età fissata in precedenza a 15 anni. E’ stata una battaglia lunga per arrivare nel 2000 ad un Protocollo opzionale della Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (1989), che ha inibito l’arruolamento coercitivo negli eserciti regolari sotto i 18 anni; limite aggirabile se l’arruolamento è però volontario. Una vittoria di civiltà a metà e solo sulla carta.

La strada ancora lunga per tutelare i minori nei conflitti

Il Protocollo, entrato in vigore il 12 febbraio 2002, è stato firmato ad oggi da 172 Paesi e ratificato da 153. In quella stessa data l’Assemblea delle Nazioni Unite ha proclamato la Giornata contro l’uso dei bambini soldato. Lo scopo è di sensibilizzare l’intera comunità internazionale su uno spaccato drammatico che coinvolge centinaia di migliaia di ragazzi e perfino bambini e bambine mandati a combattere, ad uccidere, a morire, ad essere vittime e carnefici in scenari di guerra, che resteranno per sempre impressi nella memoria di quanti, tra questi minori, sono e saranno sopravvissuti agli scontri armati e agli orrori dei fronti opposti, con conseguenze sovente irreversibili nella loro psiche.

In aumento la presenza di bambine e ragazze soldato

I bambini soldato continuano a fare la guerra massivamente in almeno 14 Stati - secondo gli ultimi dati dell’Onu su un fenomeno che resta in gran parte sommerso - arruolati nelle forze regolari o irregolari; si stima siano oggi oltre 250 mila, sovente utilizzati in contesti di annosi conflitti protratti in diversi Paesi africani, tra cui Sud Sudan, Repubblica democratica del Congo, Repubblica centrafricana, Mali, Nigeria, Libia, Somalia ma anche in Paesi asiatici, Afghanistan, Myanmar, Filippine e in aumento nella regione del Medio Oriente, Yemen, Siria, Iraq e poi in America Latina, in Colombia e in misura minore in altri aree del mondo. L’ultimo rapporto delle Nazioni Unite riporta un elenco di 56 gruppi armati e sette eserciti regolari, che reclutano o fanno uso di bambini in operazioni belliche. Da registrare anche l’incremento delle bambine e delle ragazze, spesso orfane dei genitori uccisi nei combattimenti, rapite o comunque costrette per sopravvivere a seguire le milizie.

La diffusione di armi leggere incoraggia il reclutamento

Ad incoraggiare il ricorso a bambini soldato oggi, più che in passato, è anche l’ampia diffusione e reperibilità delle armi leggere, che non hanno bisogno della forza fisica di un adulto per essere impiegate. Tra quelle più diffuse in contesti bellici – come documenta una nota diffusa per la Giornata odierna dall’Iriad - Istituto di ricerche internazionali Archivio Disarmo - sono ad esempio il Kalashnikov AK-47, un mitragliatore, del peso tra i 3,5 e i 2,8 kg, diffuso - circa 100 milioni di esemplari -  in Africa, Asia e Medio Oriente e il fucile mitragliatore M16, dalle caratteristiche tecniche simili e diffuso – circa 8 milioni di esemplari - in America, Europa, India e Arabia Saudita. “Un controllo più stretto e sistematico delle armi leggere – ammonisce l’Iriad - sarebbe quindi quantomeno necessario anche per disincentivare le forze i gruppi armati ad arruolare minori”.

Non c’è dubbio che si tratti di un’emergenza umanitaria, ampiamente disattesa, come denuncia Andrea Iacomini portavoce dell’Unicef Italia, puntanto il dito sull'inerzia della comunità internazionale

Ascolta l'intervista ad Andrea Iacomini

R. – Non siamo a buon punto. Molti bambini vengono ancora reclutati, non soltanto vengono portati al fronte dalle milizie, ma sono bambini che vengono abusati sessualmente, che vengono violentati fisicamente e psicologicamente in tanti modi, che vengono utilizzati come messaggeri da una parte all’altra dei campi di battaglia… E, questo fenomeno di sfruttamento si aggrava quando si tratta di bambine, perché spesso il bambino soldato viene identificato come maschio ma non è così. Sono tante le bambine che vengono prese, stuprate, violentate al seguito delle milizie, anch’esse abbracciano fucili e sparano. E’ un fenomeno in crescita perché spesso è  legato ad una questione di cui non parla nessuno: la disperazione di tante popolazioni, che vedono proprio nelle truppe che si contrappongono l’una con l’altra, in alcuni Paesi, l’unica forma di salvezza per i propri figli e quindi quando passano, mettendo a soqquadro interi villaggi e zone di guerra, spesso le madri affidano disperate a queste milizie i propri figli che spesso, sì, vengono arruolati come soldati, ma non solo, con tutti i risvolti psicologici che ne derivano.

In questa odierna Giornata 2020 l’Unicef internazionale lancia un appello in particolare per il Sud Sudan e parla di ‘frustrazione’ nel proprio lavoro.

R. – Sì, noi abbiamo 900 bambini soldato in questo Paese che possono essere rilasciati dall’oggi al domani ma rischiano di non poter accedere ai servizi di reintegro. Non ci sono infatti i fondi necessari per questo programma di rilascio su cui l’Unicef lavora da molto tempo, in un Paese che sta conoscendo la pace in questi giorni ma che da quattro anni vive una guerra senza esclusione di colpi. Noi siamo riusciti a supportare il rilascio e il reintegro in Sud Sudan di oltre 3 mila bambini e ragazzi però di fatto i programmi che poi forniscono a questi minori il supporto necessario per essere non solo rilasciati dai gruppi armati ma per essere poi reintegrati nella società, ricongiunti ai propri parenti, per cercare di ridare loro una vita normale, non sono finanziati a sufficienza. La nostra frustrazione si basa fondamentalmente su questo. Quindi lanciamo un forte appello per sostenere i nuovi prossimi rilasci, che necessitano di circa 4,2 milioni di dollari per consentire a questi bambini di essere reintegrati e di ritornare a vivere! Purtroppo abbiamo una comunità internazionale che non fa passi avanti e quindi tutta questa attività è bloccata, in un Paese, lo ripeto, che sta lentamente cercando di trovare la pace e nel quale l’Unicef con i suoi partner è riuscito a salvare la vita, e a ricondurla alla normalità, di circa 3 mila bambini. E’ molto importante, sono cifre straordinarie, che danno la misura di un lavoro tra l’altro che i nostri operatori sul campo, i nostri psicologi, fanno 24 ore su 24. Se mancano i fondi per finanziare questi progetti purtroppo ci troviamo a dover lasciare che questi bambini non abbiano più un futuro e questo è davvero molto grave.

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12 febbraio 2020, 14:53