Preoccupazione per l’escalation di tensione in Siria
Fausta Speranza – Città del Vaticano
Il Cremlino ha fatto sapere che i Presidenti, Vladimir Putin e Recep Tayyip Erdoğan, hanno discusso al telefono della situazione nella provincia siriana di Idlib e hanno sottolineato la necessità della “piena attuazione degli accordi esistenti tra Russia e Turchia", compreso il memorandum di Sochi del 17 settembre 2018.
Mosca è intervenuta dopo la forte dichiarazione di Erdoğan ieri. Il Presidente turco ha parlato al gruppo parlamentare del suo Partito della Giustizia e dello Sviluppo (Akp) ad Ankara. “Da oggi in poi, se i nostri soldati nelle postazioni di osservazione (a Idlib, ndr) subiranno danni, colpiremo le forze del regime siriano ovunque, senza essere vincolati ai confini del memorandum di Sochi", ha detto sottolineando che l’intervento sarebbe “sul terreno e con l'aviazione”. Dei reali obiettivi di Ankara e della gravità di quanto sta accadendo, abbiamo parlato con Alfonso Giordano, docente di geopolitica e flussi migratori all’Università Luiss:
R. - Questa minaccia viene fatta in maniera deliberata al di fuori di quello che sono i principi del diritto internazionale. Queste cose accadevano anche in passato, ma non venivano così deliberatamente dichiarate. Quindi, in realtà, c'è una voglia di affermazione di potenza regionale da parte della Turchia, a prescindere da quelli che sono i dettami del diritto internazionale, perché è chiaro che si tratta di territorio legalmente siriano. È evidente che si approfitta della debolezza della Siria, ovviamente a causa del conflitto che ha subito negli ultimi anni, ma l'idea di fondo è che c'è una dichiarazione a prescindere da quelli che sono i dettami del diritto internazionale. Quello che manca effettivamente è un coordinamento internazionale e il rispetto delle regole di diritto. La geopolitica cruenta sta avendo il meglio su quello che è il rispetto del diritto internazionale.
Qual è l'obiettivo in questo momento di Ankara?
R. - L'obiettivo è quello di creare quella che adesso loro chiamano zona di descalation, ma che in realtà non è altro che la vecchia zona cuscinetto, cioè un'area controllata da diverse forze per evitare che diventi ancora un’area di criticità, per esempio per gli sfollati; si discute di circa 700.000 persone che si potrebbero dirigere verso il confine turco. Bisogna ricordare che la Turchia, in base all'accordo con l'Europa, accoglie già oltre tre milioni di siriani. Infatti Recep Tayyip Erdoğan ha lanciato un altro messaggio e in questo caso all'Europa. Il messaggio è questo: “Guardate che se disturbate le mie operazioni in quest'area geografica, io posso anche aprire le mie porte verso l’Europa e quindi riversarvi quei siriani e quegli altri rifugiati che invece sto tenendo in casa mia grazie all’accordo fatto dall'Europa con la Turchia”. Bisogna ricordare che quell'area è un'area abitata anche dall’etnia curda. È chiaro che la Turchia ha un problema interno non risolto con l’etnia curda che abita tutta la parte est della Turchia e naturalmente alcune altre aree di Paesi vicini come quello del nord ovest della Siria. Controllare quell'aria significa mantenere i curdi in quell'area, controllare l'area di passaggio appunto tra la Turchia e la Siria significherebbe per Ankara non cedere a un controllo totale dei siriani, come il diritto internazionale vorrebbe, visto che quello è territorio siriano. L’obiettivo è di creare appunto questa zona di descalation utile a controllare geopoliticamente l'area geografica dal punto di vista sia dei flussi migratori sia della presenza dei curdi e di possibili tensioni che possono nascere.
Professore, ricordiamo brevemente i termini del memorandum di Sochi?
R. - Il memorandum implicava appunto una serie di accordi tra i Paesi di quell’area che prevedeva la possibilità di sedersi a un tavolo qualora ci fossero stati degli scontri, e possibilità di intervento umanitario. Questa intesa evidentemente è saltata, quindi la Turchia vuole affermare la sua potenza regionale, la Russia si presenta come il nuovo unico attore geostrategico di tutta l'area mediorientale di sbocco sul Mediterraneo. E tutto questo è anche dovuto al fatto che c'è l’assenza degli Stati Uniti.
Sembra evidente che nel momento in cui bisognava combattere l’Is erano tutti d'accordo mentre adesso che in qualche modo ci sarà da spartire zone di potere in Siria pensiamo ai porti e ai pozzi petroliferi, questi Paesi poi non sono affatto d'accordo…
R. - È evidente che molte potenze regionali e - possiamo dire - una potenza più che regionale come la Russia, stanno attendendo di dividere quegli spazi geografici; chi appunto per l'accesso al mare, chi per il controllo dell'area strategicamente vitale per i flussi migratori, chi per controllare un'area abitata e questo è l’interesse soprattutto dei curdi. E’ evidente che quando si trattava di combattere i terroristi questi Paesi avevano trovato l'accordo. Oggi che invece c'è una possibilità di spartizione post guerra della Siria si fanno conteggi e accordi diversi.
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