75 anni da Yalta, fine della guerra mondiale e inizio di quella fredda
Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano
Si era agli sgoccioli della seconda guerra mondiale, che sarebbe finita di lì a pochi mesi e, nel febbraio del ’45, i capi di stato di tre Paesi della coalizione anti-Hitler, Churchill per il Regno Unito, Roosevelt per gli Stati Uniti e Stalin per l’Unione Sovietica, stabilirono di incontrarsi al Palazzo Livadia di Yalta, in Crimea, per dare vita ad una conferenza da cui prese poi forma l’accordo che avrebbe stabilito il clima mondiale del dopoguerra, passando per la sconfitta finale della Germania nazista.
L’ordine mondiale venutosi a creare subito dopo il conflitto è rimasto sostanzialmente invariato fino all’ultimo decennio del XX secolo. La Conferenza di Yalta, alla quale si deve anche la decisione di dar vita alle Nazioni Unite, per alcuni politologi fu prova della collaborazione tra le potenze uscite vittoriose dal conflitto, per altri portò alla nascita della guerra fredda e quindi alla divisioni dell’Europa in blocchi contrapposti. Angelo Bolaffi, politologo e germanista
R. - Yalta fu un esito inevitabile di un periodo terribile. L'Europa, il mondo, uscivano dalla Seconda guerra mondiale, c’erano stati 50 milioni di morti, c'era l'alleanza antinazista che dominava su tutto. Ovviamente, che Stalin, l'Unione Sovietica, avesse delle tendenze egemoniche si poteva vedere, però ancora non era partita l'aggressione aperta che iniziò successivamente, con il 1948. D'altra parte era difficile pensare, in un mondo ormai stanchissimo e affranto, di riprendere immediatamente un conflitto con quelli che erano stati gli alleati. Io penso che fu, come spesso avviene nella storia, un errore inevitabile che toccò ad alcune nazioni e ad alcuni popoli pagare amaramente.
Alcuni pagarono un prezzo altissimo che però era inevitabile in nome della libertà?
R. - Nella storia dire ‘inevitabile’ quando a pagare sono nazioni e popoli è sempre sbagliato. Certamente oggi noi ragioniamo col senno di poi, e col senno di poi sono tutti saggi. Allora bisognava mettersi nei panni di questi tre leader: Churcill veniva da una guerra terribile, Stalin, dittatore sanguinario, aveva opposto una resistenza eroica, pagando un prezzo enorme in milioni di morti all'aggressione nazista e Roosevelt aveva un'America che era stata riluttante fino alla fine ad entrare in guerra e poi, soltanto grazie all’America, l'attacco nazista fu respinto. Quindi, oggi, “mettere le brache alla storia”, come direbbe Benedetto Croce, è molto difficile. Certamente si aprì un'epoca terribile per le nazioni dell'est europeo. Poi, con la caduta del muro di Berlino, il 9 novembre dell'89, cioè con la fine della spartizione di Yalta, si aprì una finestra di grande opportunità e, per un momento, l'umanità poté sognare ad occhi aperti l'idea di un multilateralismo globale. E’ durato pochissimo. Oggi siamo di fronte ad un ritorno di quella logica che era sottesa a Yalta, con una colpa in più: allora nessuno lo sapeva, oggi sappiamo quali sono i prezzi pagati con Yalta. Quindi questo è ancora più crudele e ancora più deprecabile.
Tra i capitoli che sono rimasti ancora aperti a causa di Yalta, c’è quello delle isole Curili, un risultato del trattato che oggi rappresenta un problema nelle relazioni tra Russia e Giappone che le sta rivendicando...
R. – Ma oggi anche la stessa Yalta, che era il luogo dell’incontro, è oggetto della contesa, perché i russi l’hanno occupata. Non solo c'è un accordo deprecabile come Yalta, ma il luogo dell'accordo di allora è diventato oggetto di una disputa tra i russi, eredi di quell’Unione Sovietica, e l’Ucraina e quindi con il mondo libero. Abbiamo fatto un enorme passo indietro. Le isole Curili e la stessa Yalta, la Crimea, sono diventate un simbolo di questa nuova ‘guerra fredda’ che viene 75 anni dopo quell’accordo. Io debbo dire, non so se quell'accordo fosse sbagliato, ma certo oggi qualcosa di molto sbagliato c’è.
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