Città e religioni: storie di coesistenza a confronto
Roberta Gisotti – Città del Vaticano
“Gruppi religiosi e spazio urbano: simboli, interazioni, trasformazioni”. É questo il tema di un originale Convegno in corso il 2 e il 3 marzo a Roma, presso il Pontificio Istituto di Archeologia cristiana, organizzato in collaborazione con l’Università europea. Tanti i relatori di diversa provenienza, tra cui storici, archeologi, antropologi ed anche progettisti ed operatori di valorizzazione urbani, chiamati ad interrogarsi su come le religioni hanno influito o anche determinato nell’area mediterranea lo sviluppo delle città e delle culture che vi hanno abitato e vi abitano. L’obiettivo sotteso è di fornire un quadro di riferimento per valorizzare le diversità religiose e culturali, come spiega Renata Salvarani, ordinario di Storia del cristianesimo, coordinatrice dei lavori insieme alla professoress Lucrezia Spera:
R. - Siamo partiti da una domanda che ci poniamo tutti: è possibile vivere nella medesima città pur mantenendo le proprie diversità? E quindi possono gruppi religiosi, gruppi identitari diversi vivere insieme nello stesso spazio condividere la vita quotidiana ma mantenere le proprie specificità? Ecco, ci siamo posti questa questione perché la creazione della memoria e l'utilizzo del patrimonio culturale dell'heritage nella nostra società può essere proprio una chiave non solo di riflessione ma anche di costruzione di una coesistenza e di una convivenza fra diversità che ritrovano una superiore forma di coesione, di unione in modo dialettico, in modo consapevole.
Una riflessione che trova spunti, possiamo dire, di urgenza nella società contemporanea che in qualche modo si sente investita da problematiche identitarie, in realtà sociali sempre più multiculturali?
R. - Sì, le civiltà urbane, globali pongono con evidenza questa questione. Noi ci siamo posti in una posizione di fornire non soltanto delle linee di interpretazione di fenomeni, che constatiamo tutti, ma anche di dare una serie di casi di tipo storico in area mediterranea, quindi un'area che da sempre è luogo di frizione ma anche luogo di incontro fra popoli diversi, culture diverse e tradizioni religiose diverse.
In questo convegno c'è anche una riflessione particolare sulla città di Roma.
R. - C'è un focus specifico su Roma e sulla sua storia plurimillenaria di città aperta, di città plurale, di città che da sempre riesce in forme diverse a includere e a far vivere gli uni accanto agli altri gruppi anche molto diversi dal punto di vista culturale e linguistico e anche dal punto di vista religioso. Quindi una parte delle relazioni è dedicata proprio alle modalità con cui la città dall'epoca tardoantica fino alla modernità ha gestito le differenze ed è riuscita a ricomporle e una parte significativa del workshop è dedicata alla visita del Foro Romano e del Palatino per leggere i segni della ‘risemantizzazione’ cristiana del luogo simbolo della città pagana, della città imperiale, che quando cambiano gli equilibri tra i gruppi religiosi e quando si giustappongono nuovi gruppi religiosi cambia la propria simbologia anche a partire da questo luogo cuore della città.
Cambia, ma senza perdere la propria identità?
R. - Sì, mantenendo una forma di continuità, quindi è come una scrittura e riscrittura sopra un palinsesto che infine viene assimilato, sia da chi la città la vive quotidianamente, sia da chi la guarda dall’esterno, sia da chi dall'esterno viene per i motivi più svariati, quindi è come una specie di tessitura di memorie, di ricordi e di singoli che vengono infine condivisi da chi è presente all'interno dello stesso spazio urbano.
Una riflessione che per le persone comuni vorrà anche significare di non prendere con troppa angoscia questo periodo di forti pressioni migratorie, di cambiamenti multiculturali nelle società?
R. - Sicuramente, si cerca in una prospettiva di oggettività storica di analizzare ma anche di comunicare come questi grandi cambiamenti possono essere assimilati, possono essere guidati, possono orientati proprio in una chiave di ricomposizione generale e di individuazione di modelli di coesistenza. E’ per questo cerchiamo di andare oltre l’analisti storica e antropologica per investire di attenzione anche il patrimonio culturale – che abbiano ricevuto e abbiamo a disposizione – che può diventare una chiave dinamica per comunicare contenuti e valori e anche favorire forme di integrazione, di condivisione all’interno della stesse città, intorno all’elaborazione di una memoria condivisa e di un codice di valori condivisi sia pure dall’appartenenza a gruppi identitari e gruppi religiosi diversi.
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