Il parroco di Lampedusa: non perdere la vocazione all’accoglienza
Cecilia Seppia - Città del Vaticano
“L’isolamento per il coronavirus non ci fa paura, abbiamo trasformato la nostra chiesa di pochi metri quadrati in una chiesa grande come tutta l’isola”. A dirlo è don Carmelo La Magra, parroco di Lampedusa che la mattina, dopo aver celebrato la Messa, fa il prete itinerante girando con l’auto per portare il sorriso, la fiducia, il conforto alla sua gente e mettendo così in moto quella creatività spirituale che prescinde dalle attività ordinarie basate sull’incontro e la presenza.
Nell'isola non si fermano gli sbarchi
Lampedusa oggi è vuota e silenziosa come tanti luoghi d’Italia, ma tra un balcone e l’altro, don Carmelo testimonia l’eco di una prossimità che mancava da tempo. Sull’isola, crocevia di flussi migratori non si fermano però gli sbarchi. Nell’ultima settimana sono arrivate 150 persone, poi trasferite in strutture adeguate per la quarantena e adesso preoccupa la decisione di molte Ong di sospendere i soccorsi in mare mentre soprattutto dall’Africa le partenze non si fermano e ricomincia il business per i trafficanti di uomini, ai quali poco importa se il Covid-19 sta distruggendo gli equilibri del mondo intero. “Bisogna agire nel pieno rispetto dei diritti umani di ogni migrante, tenendo presente al tempo stesso il diritto dei cittadini di Lampedusa e Linosa alla massima tutela della salute pubblica in relazione all’attuale emergenza sanitaria”, afferma il sindaco Martello, chiedendo anche aiuto al governo. Ai microfoni di Vatican News, don Carmelo La Magra però rassicura: “Lampedusa non può perdere la sua vocazione all’accoglienza, continuerà ad essere, nel rispetto delle regole, la zattera di salvataggio per quanti solcano il mare cercando una costa sicura”.
R. - Ovviamente stiamo rispettando tutto quello che i decreti del governo e il nostro vescovo ci dicono di fare per la sicurezza e il bene di tutti, però questo non significa stare lontano dai fedeli: la Messa viene celebrata ogni giorno anche se a porte chiuse e quando celebro suono le campane e tutti i fedeli sanno che in quel momento possono unirsi in preghiera. Io dico: abbiamo creato una chiesa che invece di essere di pochi metri è grande quanto tutta l’isola e ognuno si sente rivolto all’altare. Poi stiamo utilizzando molto la radio locale che arriva in tutte le case dei lampedusani e consente di diffondere inviti, preghiere, incoraggiamenti a chi non può uscire. Ci stanno aiutando anche i nuovi mezzi di comunicazione: la pagina della parrocchia, Facebook, WhatsApp permettono di restare connessi anche spiritualmente, di riunirci per esempio ad un orario stabilito per la preghiera. Diciamo che questo è il tempo di una comunione che anche se non è fisica, forse è ancor più desiderata e cercata.
Sul fronte sbarchi com’è la situazione?
R. - Al momento non ci sono migranti presenti sull’isola ma nei giorni scorsi sono arrivate circa 150 persone con sbarchi autonomi e imbarcazioni diverse. Non è stato possibile accoglierli nell’hot spot dell’isola come sempre avviene. Il sindaco, Totò Martello, aveva chiesto che tutti osservassero la quarantena in loco, ma invece sono stati trasferiti sulla terraferma dietro indicazione del governo. Purtroppo questo ha comportato che i migranti restassero sul Molo Favarolo l’attracco della nave di linea, passando al freddo e al vento la notte, mangiando e dormendo lì. Ma il rischio più grande in questo momento è che la presenza dei migranti, che in questo momento sono vittime, come noi, di questo tempo di confusione e paura, ci faccia trovare il “capro espiatorio facile” e allora si pensa a quelli che arrivano come quelli che vengono a metterci ancora di più in pericolo. Invece non è questo il senso che viene dato all’accoglienza ai migranti, nessuno vuole mettere in pericolo l’altro, anzi! Perciò dico, questa è l’occasione migliore per sentirci più vicini a chi il pericolo lo sente e lo vive tutti i giorni. Noi ci stiamo già stancando di restare in casa, pensiamo alle persone nei centri di detenzione, nei campi profughi, nei posti dove c’è la guerra. Forse dovremmo metterci nei panni di chi ogni giorno vive con la sensazione che la propria vita possa essere in pericolo.
Molte Ong hanno deciso di fermare i salvataggi in mare, però le partenze non si fermano, soprattutto dall’Africa. Attualmente sono oltre 30 i Paesi africani dove si è diffuso il Covid-19 e la paura di morire potrebbe essere un movente in più per fuggire…
R. – Sì è così. Le partenze non si fermano e poi il rischio è che non solo il virus arrivi nei Paesi d’origine, dove i sistemi sanitari non molto organizzati potrebbero far prevedere delle tragedie, ma che il virus arrivi anche nei centri di detenzione o nei campi profughi, penso alla Libia, al Libano, alla Grecia dove i migranti vivono ammassati e nessuna norma di prevenzione può essere attuata! Quindi il rischio è che ci concentriamo su noi stessi e che dimentichiamo che nel mondo c’è gente che continua a fuggire dalla guerra, dalla persecuzione, dalla fame! E allora forse possiamo vivere questo momento come un’occasione per stare più vicino a chi soffre e renderci conto che anche noi non siamo così forti.
Il sindaco di Lampedusa si è trovato a dover gestire gli sbarchi di questi giorni e ha chiesto trasferimenti immediati dei migranti sentendo come prioritaria l’esigenza di tutelare la salute dei cittadini. Non c’è il rischio che l’isola in questo contesto di emergenza si chiuda e perda la sua vocazione all’accoglienza?
R. - Ma il rispetto delle norme di sicurezza non esclude l’accoglienza e la cura. Lampedusa non può perdere quella che è una vocazione naturale. Soprattutto in periodi in cui scarseggiano i soccorsi in mare, Lampedusa si trova ad essere quella zattera di salvataggio per chi questo mare lo solca in attesa di una costa sicura. E magari organizzando meglio i trasporti ed evitando che i migranti trascorrano troppo tempo sull’isola si possono raggiungere posti più attrezzati per la quarantena e per rispettare le giuste norme sanitarie.
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