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Covid-19: il rischio quotidiano degli operatori sanitari

L’aumento della mole di lavoro ma anche del rischio di infezione da coronavirus caratterizza in Italia l’attività degli operatori della Croce Rossa e dell’azienda Ares 118. Un’opera difficile anche dal punto di vista umano. “Ma non ci sentiamo eroi”, spiega un medico del 118

Fabio Colagrande – Città del Vaticano

Nella Messa a Santa Marta di martedì 24 marzo il Papa ha ringraziato i medici, gli infermieri e i sacerdoti impegnati nell'assistenza ai malati di Covid-19 e ha pregato per le persone morte per assistere i malati di coronavirus e per i loro familiari. Particolarmente rischioso e impegnativo in questi giorni in Italia è il lavoro di chi offre il primo soccorso, come i volontari della Croce Rossa e gli operatori sanitari in servizio sulle ambulanze dell’Ares 118.

La Croce Rossa di Tortona

“Siamo da sempre sul campo costantemente 24 ore su 24 come servizio perché siamo sede di operatori 118 e del servizio di ambulanze medicalizzate”, racconta Patrizia Mauri, responsabile della Croce Rossa di Tortona, in provincia di Alessandria, Piemonte. “In questo periodo lascio immaginare come siamo bombardati di chiamate dalla centrale operativa e abbiamo dovuto aggiungere un mezzo speciale dedicato al ‘trasporto Covid’. Siamo mobilitati con il supporto di tutti i volontari e tutti i dipendenti del nostro comitato”. La diocesi di Tortona è molta vasta: va dai confini della Liguria a quelli della Lombardia e il comitato della Croce Rossa locale copre un territorio fra i più colpiti dal coronavirus in Italia. “Abbiamo contribuito all’evacuazione dell'Istituto Casa madre delle suore Orionine, in coordinamento con il Sindaco e l'Amministrazione comunale”, racconta Patrizia Mauri. “Abbiamo contribuito allo spostamento presso altri nosocomi dei malati che erano nell'ospedale di Tortona che è stato trasformato in Covid-hospital. Il tutto in coordinamento con il comitato centrale 118 che arrivava da Torino, con l'amministrazione comunale, la Croce Rossa e la Misericordia”.

Sguardi che non si dimenticano

Una delle difficoltà che incontrano in questa fase i volontari della Croce Rossa è reperire i dispositivi individuali di protezione per poter prestare soccorso senza correre rischi. “Diventa veramente sempre più complicato e siamo obbligati a chiedere aiuto”, spiega Patrizia Mauri. Ma la difficoltà maggiore è di tipo umano. “Io personalmente – racconta con commozione – faccio servizio sull’ambulanza e quando portiamo via un ammalato, che deve lasciare la famiglia a casa… Gli sguardi dei familiari, sono sguardi che non si dimenticano, mi creda”.

State a casa

La responsabile della Croce Rossa di Tortona conferma che qui come altrove c’è stato un ritardo nella percezione del rischio da parte della popolazione. “La gente non ha avuto consapevolezza del pericolo. I comportamenti sono sempre stati abbastanza superficiali. Quasi che il nemico non ci potesse toccare e questo virus fosse una notizia che riguardasse solo qualcun altro. Oggi, invece, colpisce sempre di più vicino a noi. Stamattina ho avuto la notizia del decesso di un collega di un altro comitato con il quale ci eravamo sentiti la settimana scorsa. Veramente bisogna che le persone capiscano che le indicazioni date dalle autorità sono tassative: bisogna stare a casa”. Stare a casa e lasciare uscire solo chi deve per forza operare sul territorio, spiega Patrizia Mauri: le forze dell'ordine, il personale sanitario, il personale volontario delle varie associazioni, tutte persone preparate per fare questo tipo di servizio.

Ascolta l'intervista a Patrizia Mauri

 

Ares 118 nel Lazio: si fatica e rischia di più

 

Da qualche settimana è cambiata molto anche la vita degli operatori sanitari che prestano servizio in tutta Italia sulle ambulanze dell’azienda Ares 118. “Sicuramente abbiamo una mole di lavoro più importante e ovviamente sono aumentati il numero dei soccorsi potenzialmente a rischio di infezione”, spiega Manuele Berlanda, medico di emergenza territoriale dell’Ares 118 del Lazio. “Tutti gli operatori sono particolarmente impegnati a dare un servizio importante per la popolazione ma anche ovviamente a preservare la propria salute”. I turni di lavoro sono sempre di 12 ore ma è notevolmente aumentato il numero delle chiamate e degli interventi per patologie respiratorie o patologie influenzali che ovviamente costringono gli operatori a munirsi dei dispositivi di protezione individuale. “Dobbiamo utilizzare tute, maschere, guanti, occhiali”, spiega Berlanda. “Tutto ciò con notevole impegno per la vestizione e la svestizione e ovviamente potete immaginare come effettuare dei soccorsi indossando tutti questi dispositivi affatichi notevolmente il personale”.

La gente è consapevole

La popolazione del Lazio sembra però ormai consapevole della gravità del momento. “Abbiamo notato – spiega il medico –  che se da una parte sono aumentate le richieste di intervento per sintomi respiratori o influenzali, la popolazione sta rispondendo in maniera molto positiva, prendendo coscienza del fatto che ricorrere in questa fase a sistemi di emergenza può sovraccaricarli. La gente chiama e si rivolge al 118 o al pronto soccorso solo quando è realmente necessario e questo ci aiuta”. Sono infatti aumentati gli interventi per le patologie respiratorie ma diminuiscono quelli per patologie non particolarmente gravi e quindi il sistema riesce a funzionare in maniera più fluida.

Rivalutato il lavoro dei medici

In questo momento critico le persone tornano inoltre ad apprezzare la professione medica. “Spesso certe figure professionali, e non parlo solo dei medici e degli infermieri, si riscoprano nei momenti di emergenza”, commenta il dottor Berlanda. “Quello che noi sinceramente come categoria degli operatori sanitari ci auguriamo e di non tornare nel dimenticatoio una volta finita questa fase. Di non vedere poi ripiombare nell'anonimato tutta l’assistenza quotidiana che tutto il sistema sanitario nazionale eroga ai pazienti, a prescindere dall'emergenza coronavirus”. Si è parlato giustamente, e lo ha fatto anche Papa Francesco, di eroismo per i medici e gli infermieri morti prestando soccorso ai malati di Covid-19. “Noi non vogliamo essere chiamati eroi”, commenta il medico del 119. “Abbiamo scelto di svolgere il nostro mestiere con abnegazione e lo facciamo quotidianamente a prescindere dall’emergenza coronavirus. Speriamo che venga capito che la nostra professione è sempre rischiosa ed è svolta con impegno anche al di fuori dei periodi di emergenza”.

Ascolta l'intervista a Manuele Berlanda

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25 marzo 2020, 07:53