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Coronavirus, dialogo e attenzioni per riscoprire gli affetti

Le esortazioni che il Papa ha diretto alle famiglie in questo tempo complesso sono al centro dell’intervista a Marco Scicchitano, psicoterapeuta, presidente del progetto Pioneer che si occupa di educazione affettiva con genitori e ragazzi

Debora Donnini –Città del Vaticano

Piccoli gesti di tenerezza come una carezza o un piatto caldo, ascolto reciproco, ritrovare i veri affetti, chiedere perdono. È la strada indicata dal Papa alle famiglie a cui, in questi giorni difficili per il Coronavirus, diverse volte ha rivolto il suo pensiero. Lo sguardo è anche per i bambini, costretti a casa dalla chiusura delle scuole per evitare il diffondersi del contagio.

Ma come affrontare in famiglia questo momento non semplice? A partire dalle parole del Papa, ne abbiamo parlato con Marco Scicchitano, padre di 4 figli, psicoterapeuta, clinico all’ITCI (Istituto di Terapia Cognitiva Interpersonale) che fa anche parte dell’equipe del Vicariato di Roma per il catecumenato prematrimoniale.

Nell’intervista di oggi a Repubblica, il Papa esorta a compiere piccoli gesti concreti di tenerezza come un abbraccio o una telefonata. Partendo dalla sua esperienza di psicologo, quale l’importanza di questi gesti?

R. - Sono molto contento delle parole che il Papa ha espresso. Stiamo vivendo tutti un momento doloroso. Il Papa con queste parole penso si rivolga chiaramente agli adulti e questo è importante perché i bambini non hanno una reattività diretta alle paure, alle calamità, ma la mediano attraverso il vissuto emotivo dei genitori, degli adulti che sono intorno a loro. Quindi, questi gesti rivelano la loro forza proprio in virtù di questo principio base conosciuto grazie alla psicologia dell’attaccamento: il senso di tranquillità che possono ricevere i figli viene mediato dal contenimento emotivo che gli adulti hanno rispetto alla propria paura.

Cosa si può fare per i bambini concretamente?

R. - Per i bambini è molto importante prima di tutto di tutto stabilire una programmazione: i bambini hanno subito uno stravolgimento delle abitudini. La prima cosa da fare è riunirsi, dirsi insieme che si sta vivendo un momento particolare in cui avere paura è legittimo e poi insieme decidere cosa fare: disegno, gioco condiviso, la lettura, la visione di film. Noi, per esempio, stiamo sviluppando delle tecniche specifiche sul gioco di ruolo: la famiglia gioca insieme a un gioco strutturato in cui tutti possono avere un ruolo e questo si è visto essere molto efficace. In questo momento siamo costretti a pensare di nuovo l’ambiente condiviso, e quindi può essere anche un momento per ripensare gli spazi relazionali in famiglia. E’ anche importante la preghiera in famiglia.

In particolare, quando si mangia insieme, il Papa esorta a dialogare, a non rimanere nel silenzio perché magari si vede la tv o il telefonino. Quanto è importante la strada dell’ascolto reciproco?

R. - È fondamentale e in proposito un piccolo consiglio che posso dare ai genitori è quello di avviare discorsi a tavola. Non con domande che il genitore fa al bambino che deve poi rispondere, perché di solito questa modalità è poco efficace. La cosa importante è invece cominciare a parlare di sé stessi e della propria giornata, dei propri pensieri e poi questo può avviare di fatto delle aperture anche spontanee dei figli.

In questi giorni alla Messa celebrata a Casa Santa Marta e diffusa via streaming, il Papa ha pregato anche per le famiglie, costrette a stare chiuse in casa con i bambini, dovendo gestire una situazione complicata. L’invito del Papa è stato anche quello di scoprire nuove espressioni di amore in questo tempo difficile. Quali potrebbero essere secondo lei?

R. - In questo momento questo appello del Papa mi sembra forte e profetico. Penso anche alle difficoltà che le famiglie stanno vivendo dal punto di vista economico. Questo richiamo a trovare nuove forme espressive di amore, penso sia importante proprio perché è importante ricalibrare anche il senso della vita in senso ampio. Nuove forme di amore è possibile esprimerle anche in contesti veramente molto depauperati. Abbiamo esperienza sia dalle biografie di Santi sia anche di persone comuni, quanto sia possibile esprimere atti donativi che secondo la psicologia sono quelli che manifestano una capacità di trascendere il proprio “ego” e quindi manifestano una maturità personale elevata. Ecco, queste sono forme molto belle e possono aprire prospettive: riscoprire la vita collettiva, pensare alle esigenze degli altri. E poi, se siamo in un condominio, pensare se ci sono degli anziani e se abbiamo parenti anziani, magari fargli una telefonata, anche sui social essere positivi, non facendo finta che non ci siano problemi, ma essendo proattivi, capaci di stare nella situazione anche con problemi e allo stesso tempo di continuare a donarci come la Chiesa insegna, e come la vita di Gesù Cristo ci ha mostrato.

Un ruolo da protagonista sembra averlo senz’altro il perdono. ieri nell'omelia a S. Marta Francesco ha parlato della croce non feconda dell’odio, del “me la pagherai”, ricordando che questa parola non è né umana né cristiana. Il Papa ha anche sottolineato che chiedere perdono significa perdonare. Nel suo lavoro, tanto più in questo momento, rileva effettivamente l’importanza di perdonarsi?

R. - Certamente. Il perdono è un punto di arrivo che sana i conflitti nel modo più pieno. Non è sempre facile e immediato poter perdonare. Ecco, chiedere perdono è entrare nella relazione con un atteggiamento di umiltà. Ci sono studi che hanno dimostrato, anche nella pratica clinica, come una risoluzione compiuta di un conflitto, di una ferita all'interno di una relazione, arriva nel modo più pieno proprio quando la persona si sente di poter perdonare. Non restare aggrappati ad una rivalsa, libera anche risorse nella persona che non è più costretta a pensieri ossessivi, a recriminazioni, alla rabbia ma è libera di andare avanti, di volere bene, di pensare bene di sé e degli altri.

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18 marzo 2020, 13:14