In Afghanistan serve una tregua umanitaria. Pangea: sanità allo stremo
Elvira Ragosta – Città del Vaticano
"Il benessere del popolo afgano e del paese dipende dall'impegno di tutte le parti a dedicare le loro energie alla lotta contro la pandemia di Covid-19, il nemico comune di tutti". Così via twitter l’inviato statunitense per la riconciliazione afgana, Zalmay Khalilzad, che chiede ai talebani un cessate il fuoco umanitario. Nel Paese già martoriato dalla guerra e dalla povertà, sono oltre 1500 i casi ufficiali di coronavirus, inclusi 50 decessi, ma il timore è che, a causa della fragilità del sistema sanitario, le cifre effettive siano molto più elevate. I talebani però hanno già respinto un analogo appello alla tregua lanciato dal governo di Kabul. Khalilzad ha anche chiesto al presidente afghano Ashraf Ghani e al suo rivale Abdullah Abdullah di porre fine ai contrasti interni per concentrarsi sulla lotta contro il virus.
“La situazione nel paese è abbastanza drammatica perché le forme di terapia per il coronavirus non ci sono”. A dirlo a Vatican News è Luca lo Presti, presidente della Fondazione Pangea, che in Afghanistan, in particolare a Kabul, porta avanti, con personale esclusivamente locale, progetti di microcredito, sviluppo e diritti delle donne. “La chiusura di tutti gli esercizi commerciali e degli uffici - aggiunge - è stata prorogata, in questi giorni, di un altro mese. La concentrazione maggiore di persone, certo, è nelle città principali, però la situazione reale rispetto alla popolazione che vive tra le montagne, nei villaggi, o soprattutto nelle zone confinanti con l'Iran, penso non la sapremo mai”.
Gli appelli alla tregua e il ‘no’ dei talebani
Da Papa Francesco come dal Segretario generale dell’Onu Guterres sono giunti appelli affinché tacciano le armi nei Paesi colpiti dalle guerre. In Afghanistan, lo scorso 24 aprile, il presidente Ghani ha offerto un cessate il fuoco ai talebani durante il Ramadan, ma il gruppo ha respinto la tregua e accusato il governo di ostacolare il processo di pace. Anche la Nato nei giorni scorsi ha chiesto ai talebani dell'Afghanistan di "ridurre le violenze" e unirsi ai colloqui di pace, sollecitando un'accelerazione nel rilascio di prigionieri. “Speranze concrete di tregua non ne vedo – dice il presidente di Pangea Lo Presti- perché gli interessi non collimano verso un accordo”.
Onu: preoccupante aumento della violenza
Intanto, un rapporto delle Nazioni Unite pubblicato oggi parla di oltre 500 civili, tra cui più di 150 bambini, uccisi a causa dei combattimenti in Afghanistan nei primi tre mesi del 2020. L’Onu rimarca un "preoccupante aumento" della violenza durante il mese di marzo, in un momento in cui si sperava che il governo e i talebani avessero avviato negoziati di pace. Gli elementi antigovernativi hanno continuato a essere responsabili della maggior parte delle vittime civili: la missione di assistenza Onu nel Paese ha attribuito il 39% ai talebani, il 13% allo Stato islamico e il resto a forze indeterminate.
La crisi umanitaria pesa gravemente sul futuro del Paese
Nei giorni scorsi un altro rapporto, diffuso dal Programma alimentare mondiale ha sottolineato che a causa della pandemia nel 2020 potrebbe raddoppiare il numero di persone che soffrono la fame a livello globale, calcolando che "da qui alla fine dell'anno si rischia di superare i 250 milioni". Per l’Agenzia delle Nazioni Unite, l’Afghanistan è uno dei dieci Stati in cui si registrano le peggiori crisi alimentari. Inoltre, ricorda l’agenzia Fides citando i dati della Banca mondiale, il Paese può contare solo su tre dottori ogni 10mila abitanti e l’incide che misura la preparazione a fronteggiare le epidemie colloca l’Afghanistan tra gli Stati meno preparati al mondo.
Ogni giorno il presidente di Pangea si tiene in contatto via WhatsApp con gli operatori dei progetti in Afghanistan. “La preoccupazione sulla base delle informazioni che riceviamo - conclude Lo Presti - è che, se dovesse essere colpita in maniera importante, la popolazione non ha certo strumenti per essere salvata. Gli ospedali privati o internazionali sono costosissimi, solo pochissimi se li possono permettere, e gli ospedali pubblici versano in una situazione veramente drammatica. Inoltre, siamo preoccupati che l'economia possa crollare tragicamente perché, diversamente dei paesi occidentali, non c'è nessun aiuto economico o assistenza per la popolazione”.
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