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All'ospedale Bambino Gesù nuovo servizio per le famiglie All'ospedale Bambino Gesù nuovo servizio per le famiglie 

Bambino Gesù: assistenza psicologica a distanza per famiglie in difficoltà

È attivo presso l’Ospedale pediatrico romano il servizio di sostegno psicologico telefonico e telematico per genitori, bambini e adolescenti in situazioni problematiche in questo periodo in cui l’emergenza Covid-19 costringe tutti all’isolamento

Eliana Astorri – Città del Vaticano

Il cambiamento improvviso degli stili di vita e vivere quotidianamente solo la realtà domestica possono provocare disturbi comportamentali in bambini e adolescenti. Sono ancora più evidenti le difficoltà delle famiglie che hanno figli con disabilità o malattie croniche che si trovano a affrontare questa nuova situazione da soli, non potendo più contare sulle strutture di sostegno, ora chiuse per evitare la diffusione del coronavirus Covid19.  Gli psicologi dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù rispondono giornalmente a decine di chiamate allo 06.6859.7046 e email a psicologia@opbg.net, come racconta la dottoressa Simonetta Gentile, responsabile di Psicologia Clinica al nosocomio vaticano e docente presso l’Università Lumsa:

Ascolta l'intervista alla dottoressa Gentile

Quante richieste di supporto psicologico state ricevendo mediamente?

R. – Ne stiamo ricevendo parecchie, decine al giorno. Soprattutto, dai nostri pazienti, o comunque da bambini che noi conosciamo, che hanno delle problematiche sia precedenti che legate all’emergenza coronavirus.

Quale disagio è maggiormente sentito dai genitori?

R. – Questa emergenza ci ha costretti a fermarci, a stare molte ore a contatto con i nostri bambini e, spesso, si rischia di perdere un po’ il controllo della situazione. L’ansia che i genitori possono trasmettere può determinare nei bambini un disagio che si esprime in modo diverso a seconda dell’età. Ad esempio, i bambini piccoli possono manifestare irrequietezza, difficoltà nell’alimentazione, nel sonno. Abbiamo avuto, invece, richieste per i bambini più grandi che, oltre che avere uno stato di ansia, possono avere pianto immotivato, paura del futuro, tristezza. Gli adolescenti tendono di più a chiudersi e rimanere un po’ più isolati dal resto della famiglia per molto tempo, troppo forse.

Vi chiamano direttamente gli adolescenti?

R. – Quelli che noi avevamo già in trattamento, sì. Però, le chiamate passano attraverso i genitori essendo dei minori. Sono in genere i genitori, prevalentemente le mamme.

Le famiglie con bambini o adolescenti con disabilità, oggi si sentono certamente più soli. Non hanno più il sostegno dei luoghi di terapia riabilitativa, educativa, anche ludica, dove i figli, appunto, potevano interagire, stare in compagnia. È uno dei problemi che le famiglie vi sottopongono? Come gestire tali situazioni in casa?

R. – Sì, esattamente, è proprio così, perché gestire un bambino o un adolescente disabile – immaginiamo, nello specifico, gli autistici o i bambini iperattivi  o con un ritardo mentale – la loro vita si fonda anche sul supporto che le strutture riabilitative possono loro dare. E hanno delle routine che li contengono e sostengono. Queste sono venute a mancare ed è un problema molto serio. Io spero che si possa riprendere quanto prima, altrimenti i genitori sono davvero soli di fronte al problema.

Nei colloqui via telefono, email o Skype, avete individuato casi che richiedano approfondimenti, indagini più dettagliate da parte vostra? Cosa fate in questo caso?

R. – Sì, certo. Abbiamo attivato uno sportello che è solo un filtro, un filtro telefonico. A volte si può dare già un consiglio, qualche indicazione, ma spesso c’è la necessità di un approfondimento che passa attraverso delle tele-visite, attraverso lo schermo, prevalentemente con Skype, ma anche con telefono. E in questi casi noi dobbiamo conoscere meglio la storia e conoscere anche il bambino, quindi, anche vedere il bambino, vederlo giocare, e, a volte, somministrare anche dei test, quando è possibile, con delle interviste più strutturate.

Con la speranza di riprendere presto i colloqui frontali…

R. – Certo, assolutamente sì. E anche, alle volte, abbiamo poi una prima valutazione che ci permette di orientare meglio in aree più specialistiche.

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19 aprile 2020, 08:30