Covid19: allerta sociale per i popoli rom
Roberta Gisotti – Città del Vaticano
Nel mondo si stima siano 30 milioni i rom, i sinti e i camminanti, tra i 10 e i 12 milioni in Europa, di cui 6 milioni nei Paesi dell’Ue, circa 180 mila in Italia. Numeri approssimativi di comunità etniche, sparse, che si definiscono anche gitani o zingari, manush, Kalé, Askali e con molte altre denominazioni; solo in Italia vi sono 11 fra gruppi e sottogruppi. Incerta anche l’origine di provenienza storica, discenderebbero da popolazioni asiatiche emigrate intorno all’anno Mille dal Delta dell’Indo, fra India e Pakistan, da cui l’uso della lingua romani, assimilabile all’antico sanscrito parlato in quella regione. Una storia millenaria, irta di difficoltà di integrazione, costellata di incomprensioni, discriminazioni e pregiudizi, fino alle persecuzioni naziste, negli anni della seconda Guerra mondiale, di cui furono vittime si stima 500 mila nomadi.
Valorizzare la ricchezza della diversità culturale
Da qui la nascita nel dopoguerra di un movimento identitario del popolo rom, che promosse il primo Congresso mondiale celebrato a Londra nell’aprile del 1971, al quale segui l’istituzione dell’associazione internazionale “Romani Union”, riconosciuta dall’Onu nel 1979. Le stesse Nazioni Unite proclamavano, nel 1990, la Giornata internazionale dei rom, sinti e camminanti, scegliendo la data dell’8 aprile, in ricordo di quel primo evento fondativo. Da allora questa ricorrenza vuole richiamare al mondo intero le problematiche di questi popoli erranti o stanziali, ma anche valorizzare la ricchezza della loro diversità culturale, al fine di promuovere la loro convivenza pacifica e rispettosa nei Paesi in cui vivono da secoli, di cui in buona parte sono cittadini e ne hanno assimilato la lingua e la religione dominante.
Incrementare fiducia reciproca per favorire integrazione
Bisogna favorire “la cultura dell’incontro, con la buona volontà di conoscersi e rispettarsi reciprocamente”, perché “è questa la strada che porta ad una vera integrazione”, auspicava Papa Francesco, nell’Angelus dell’8 aprile 2018. Ma la strada da percorrere è ancora lunga se, lo scorso anno, la Commissione degli Episcopati della Comunità europea (Comece) esortava i futuri leader dell’Ue, in vista delle elezioni del Parlamento di Straburgo, “ad adottare un quadro legislativo per le strategie nazionali di integrazione dei rom e a rilanciare l’impegno delle istituzioni europee per rafforzare la loro inclusione” attraverso “la fiducia reciproca” tra società e rom, perché questa è “la chiave di volta per superare l’anti-ziganismo”.
Sale preoccupazione per la pandemia da Covid19
Fiducia reciproca che in questa Giornata 2020 è messa a dura prova per le preoccupazioni sorte con la Pandemia da Covid19, specie per le comunità presenti in Italia, così duramente colpita dalla diffusione del virus letale. Di questa preoccupazione si fa portavoce Maurizio Pagani, presidente dell’Opera Nomadi di Milano, associazione nazionale di volontariato, fondata nel 1963 a Bolzano da don Bruno Nicolini ed oggi attiva con diversi sedi in Italia, dedicate a tutelare i diritti dei rom, promuovendo la loro inclusione sociale con azioni e attività dirette.
Finite le misure di contenimento, la paura di essere infettati dal virus aumenterà la discriminazione?
R. - L’antiziganismo ha assunto forma e contenuti crescenti e preoccupanti nel nostro Paese e non è certo da escludere che possa estendersi ulteriormente anche a causa dell’attuale pandemia, indicando rom e sint, tra gli altri, come possibili ‘untori’. La condizione di marginalità di molte comunità quando non vivono in vere e proprie situazioni di emarginazione e povertà accrescono l’ansia e le preoccupazioni. L’isolamento delle persone in contesti sociali già di per sé chiusi in sè stessi aumenta la sensazione di pericolo e di esclusione. Paradossalmente, le famiglie che abitano nei grandi centri urbani, come Milano, all’interno di caseggiati delle zone periferiche o in terreni privati (come per molti Sinti che non possono svolgere il proprio lavoro di giostrai) sono ora tra le più esposte ai fenomeni di povertà e quelle meno raggiunte dagli aiuti pubblici. Occorre correre prontamente ai ripari per assicurare anche a loro quanto hanno bisogno per vivere e per scongiurare fenomeni di possibile discriminazione “istituzionale”.
A che punto è l’integrazione di questi popoli: quali Paesi sono più avanzati e quelli più arretrati. E, qual è l’elemento vincente per una convivenza rispettosa?
R. - In Italia, fatte debite le forti differenze che si possono registrare anche tra diversi territori, la condizione generale è ancora tra le meno sviluppate d’Europa, con sacche importanti di rilevante esclusione sociale.
La precarietà dell’habitat, l’assenza di autonomia economica e lavorativa, l’evasione e dispersione scolastica, la scarsa tutela della salute e dei diritti sono tra le cause principali di questo ritardo. Gli interventi pubblici dovrebbero quindi agire in più direzioni, senza misure generaliste preordinate, favorendo la partecipazione attiva delle comunità zigane e un più ampio senso di responsabilità e coinvolgimento. L’autonomia familiare basata su lavoro, istruzione e diritto ad una abitazione (dalla casa alle micro aree per piccole comunità familiari) sono gli ingredienti indispensabili per una positiva e rispettosa convivenza.
Spesso si sente ripetere che sono i popoli nomadi a non accettare le regole? Quanto c’è di vero in questa affermazione? E che dire delle attività illecite che la cronaca riporta spesso sulla stampa? Anche questo è un problema che aggrava il pregiudizio?
R. - I media spesso riportano episodi criminali che investono non solo chi ne è responsabile ma tutti gli appartenenti ad una specifica comunità in quanto tali e questo ovviamente è inaccettabile. Il rispetto delle regole passa attraverso l’acquisizione e condivisione di valori comuni ma anche di opportunità di affrancamento sociale e di una più equa ripartizione delle risorse pubbliche, di occasioni concrete di istruzione, di poter ricoprire un impiego per garantire un reddito familiare, di avere accesso ad una abitazione dove vivere serenamente, di veder riconosciuta e apprezzata la propria dimensione culturale.
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