Forum sociosanitario: sud Italia sull’orlo di una grave crisi sociale
Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano
L’emergenza sanitaria innescata dalla pandemia di Covid 19 e il crescente disagio legato al blocco delle attività produttive. È questo il duplice fardello che, nelle regioni del sud Italia, può generare non solo rischi per la salute ma anche forti tensioni nel tessuto sociale. Lo sottolinea il dottor Aldo Bova, presidente del Forum sociosanitario, organismo che sostiene la vita e la salute nel rispetto della persona umana alla luce dei documenti del magistero della Chiesa cattolica. In questo periodo di emergenza sanitaria, spiega il dottor Bova, alcune delle lacune del sistema sanitario italiano sono ancora più evidenti. Nel sud Italia, aggiunge il presidente del Forum sociosanitario, la sospensione delle attività produttive può portare a delle rivolte.
R. - Gli aspetti che destano maggiore preoccupazione sono quelli collegati alla mancanza di personale. Il Sistema sanitario nazionale deve assolutamente essere pronto anche per le emergenze cicliche che possono verificarsi in seguito a delle pandemie come questa. Il Sistema sanitario nazionale ha il dovere di organizzarsi perché la salute è il bene principale e vanno speso tutti i soldi possibili: la salute non ha prezzo e non bisogna arrivare al punto in cui dover fare delle scelte tra la persona più anziana e quella più giovane. A questo punto non ci dobbiamo arrivare. E bisogna promuovere moltissimo gli studi e la ricerca.
Quale è in particolare la situazione, dal punto di vista sanitario, nel meridione?
R. - La situazione è questa: il Sistema sanitario nazionale, in generale, presenta tante carenze, ma in particolare al sud. E d’altra parte nelle regioni meridionali dell’Italia arrivano meno fondi. Al momento la patologia legata al coronavirus non si sta sviluppando molto al Sud, anche se molte migliaia di persone, quando sono stati annunciate misure restrittive in Lombardia, sono tornate nei loro paesi nel Meridione. C’è stato, quindi, questo pericolo. Una cosa positiva che sta funzionando è la macchina messa in moto per far rispettare il distanziamento sociale. La vera difesa è restare in casa.
Restiamo al sud. La tutela della salute può essere minata anche da problemi sociali. Una delle grandi emergenze per il Sud riguarda la sospensione del lavoro in quasi tutte le sue forme, anche quelle sommerse. È uno scenario che presenta rischi molto gravi e la camorra può approfittarne…
R. - Nel sud Italia il fatto che le persone non stiano lavorando, anche nel campo del sommerso, sta creando un grosso disagio socio-economico. A Salerno, nell’arco di una settimana, si sono suicidate tre persone per questo disagio. Vengono attaccati grandi centri commerciali anche da bande di delinquenti che cercano di rubare prodotti e cose varie. Succede che le persone camminano con la busta della spesa in mano e altre persone cercano di rubare la loro spesa. Data la diffusione in Campania della camorra, in Calabria della ‘ndrangheta, in Puglia della ‘sacra corona unita’ e in Sicilia della mafia si può creare la possibilità che queste organizzazioni possano prendere molto più spazio. Dobbiamo stare attenti perché questo è un disagio socio-economico che crea anche un disagio psichico. Si possono scatenare delle rivolte. Se la gente non ha da magiare, possono scoppiare delle rivolte.
Per arginare questi gravi rischi al sud è ancora più necessario promuovere, appena possibile e quando le condizioni lo permetteranno, la ripresa immediata delle attività produttive…
R. - Proprio perché una grossa parte di persone ha lavori precari, non stabili e anche in nero, quando il rischio della pandemia si ridurrà bisognerà avere idee pronte affinché la produttività si riprenda. Ma per fare questo c’è bisogno di avere dei programmi ben precisi: quali categorie di persone possono ricominciare a lavorare, quali categorie di lavoro possono essere riattivate. Questo è indispensabile.
Questo è un periodo in cui medici e infermieri sono sotto stress e stanno offrendo un contributo straordinario. Quale è, in particolare, il valore aggiunto che possono dare i medici e gli infermieri cattolici?
R. – Il valore aggiunto che possono dare non solo i medici e gli infermieri cattolici, ma tutti coloro che sono impegnati nel mondo socio sanitario, è quello della competenza. E, soprattutto, la relazione con le persone che in questo momento son colpite dal Covid 19. Serve amore che si può dimostrare con una autentica vicinanza. Nel momento in cui si arriva a causa del coronavirus ad una grave sofferenza respiratoria, è fondamentale l’amore della persona che sta a fianco del malato, che lo cura. Perlomeno con la voce, raccontando qualcosa, si deve far capire che non manca oltre alla competenza anche l’amore. Diventa importante anche il tono di voce e, soprattutto, aiutare le persone malate a mettersi in contatto, tramite un telefono, con i loro parenti. Il medico e l’infermiere cattolico, in particolare, devono essere competenti ma soprattutto curare con amore e dare coraggio.
Cos'è il Forum sociosanitario?
R. – È una struttura nata venti anni fa con la finalità di promuovere e tutelare la vita dal suo sorgere al suo termine e di tutelare la salute. Al Forum attualmente aderiscono dieci associazioni: Medici cattolici italiani, Pastorale sanitaria, Psicologi e psichiatri cattolici, Movimento per la Vita, Farmacisti italiani, Movimento cristiano lavoratori, Difendere la vita con Maria, l’Aris (associazione religiosa istituti socio-sanitari), l’Unitalsi e l’Unione nazionale istituzioni e iniziative di assistenza sociale (Uneba).
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