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Coronavirus. Le religioni siano testimoni della fratellanza universale

La teologa Shahrzad Houshmand commenta la lettera dell’Ayatollah iraniano Alireza Arafi al Papa e rilancia la necessità di creare un’alleanza tra fedi contro il grande nemico comune della pandemia ma anche contro le gravi emergenze contemporanee come guerre, terrorismo e armi nucleari. Francesco - dice - è un esempio anche per i musulmani

Cecilia Seppia – Città del Vaticano

In Iran i contagi da Covid-19 continuano a salire di ora in ora. Poco fa secondo i dati diramati dal ministero della Sanità si è superata la quota dei 60mila casi con quasi 3.800 morti ma il governo ha comunque deciso la riapertura, a partire da sabato 11 aprile, delle attività a basso rischio in tutto il Paese, eccetto per la capitale Teheran. La situazione è drammatica come in tante parti del mondo ma in questo contesto l’embargo e le sanzioni non fanno che gravare sull’emergenza sanitaria, conferma a Vatican News, Shahrzad Houshmand Zadeh, teologa musulmana, docente alla Sapienza di Roma. Dalla sua analisi, oltre al terreno, emerge però l’importante ruolo che le organizzazioni religiose stanno avendo nella gestione della crisi e il forte spirito di solidarietà che anima il popolo iraniano. Shahrzad Houshmand rilancia il messaggio dell’Ayatollah Alireza Arafi, rettore dell’Università di Qom, che nella sua lettera indirizzata a Papa Francesco, a nome di tanti accademici sciiti, propone “una comunità delle religioni rivelate al servizio dell’umanità” per fare fronte comune contro la pandemia. Un’alleanza tra le religioni celesti continua ad essere la soluzione più auspicabile, ribadisce la teologa, convinta che le religioni si siano rivelate proprio per portare un bene più grande all’intera famiglia umana. E’ urgente - afferma - ritrovare quei valori che si traducono nella solidarietà e nel servizio di cui il Pontefice è strenuo portatore.

 R. – L’Iran è un vasto territorio, cinque volte l’Italia, con 83 milioni di persone anche per questo i dati che oggi abbiamo a disposizione circa l’emergenza e la diffusione del contagio di Coronavirus potrebbero essere molto superiori. In ogni caso si tratta di un popolo che sta combattendo con un nemico comune, che è comune all’intera comunità umana, ma ciò che aggrava la situazione in Iran è questa chiusura, è l’embargo unitamente alle sanzioni e l’impossibilità di comprare medicinali e attrezzature mediche e chi paga è sempre il popolo.

Che ruolo stanno avendo le comunità e le organizzazioni religiose in questa emergenza sanitaria?

R. – Nella lettura epica, morale del popolo iraniano è molto presente il servizio al prossimo, anche nella letteratura e nella poesia. Proprio stamattina leggevo di Naser-e khosrow, un grande poeta persiano, vissuto circa mille anni fa, che per cinque volte ha descritto il suo viaggio a La Mecca ma l’ultima volta ha deciso di non tornarci più perché lungo il cammino ha incontrato un povero, gli ha dato da mangiare, da bere, lo ha accudito e durante un sogno ha capito che quell’atto era molto più gradito al Signore di tutti i suoi pellegrinaggi. Questo spirito di servizio è davvero molto presente in tutti gli iraniani, certo oggi in primissima linea ci sono i medici e gli infermieri che stanno pagando l’emergenza al prezzo della vita. Sono morti in questo periodo molti infermieri giovani in Iran, ma è grande anche il servizio delle comunità religiose che si adoperano ad andare verso la gente, si prendono cura dei bisognosi, portano cibo sono anche disposte lì dove serve a pagare o comprare beni di prima necessità.

Si parla di questa solidarietà operosa anche nella lettera dell’Ayatollah iraniano Alireza Arafi che scrive al Papa a nome di un’ampia comunità accademica sciita proponendo un’alleanza tra le religioni o meglio “una comunità delle religioni rivelate al servizio dell’umanità” contro la pandemia ma anche per affrontare insieme, cristiani, musulmani, ebrei, altre emergenze contemporanee. Come leggere questo appello?

R. - L'Ayatollah Alireza Arafi dirige il centro più importante dell’Accademia religiosa tradizionale di Qom che accoglie più di 50mila studenti e altri sparsi in tantissime nazioni del mondo. In questa lettera lui ha ripreso il Corano per chiedere al Papa la creazione di un’alleanza di religioni. Cita il quarto capitolo del Corano, versetto 114 dove si legge: “non c’è niente di buono nella maggior parte dei dialoghi tranne quando si ordina ad una carità o ad un bene conveniente o ad una conciliazione tra le genti e per chiunque lo fa, arriverà il compiacimento di Dio”. Ecco questo modo di leggere la religiosità che dovrebbe essere tradotto al servizio, al portare pace e carità, è il centro della richiesta dell’ Ayatollah, ma lui non è stato l’unico a rivolgersi al Papa in questi termini. Prima di lui infatti un altro grande Ayatollah, Mohaghegh Damad, ha chiesto l’aiuto del Pontefice per creare una comunità delle religioni in questo momento storico così difficile, in cui tutta la famiglia umana si deve radunare attorno ad un bene comune che è la reciprocità, è la solidarietà globale e a maggior ragione – come si legge in questa lettera – le religioni rivelate devono testimoniare questa solidarietà questa fratellanza universale. Devono farlo attraverso i leader religiosi anche con delle creazioni associative a servizio dell’unica umanità, amata dall’unico e vero Dio. Il Corano, è bene ricordarlo, cita Maria e cita la morte di Gesù. Nello stesso capitolo, ma al versetto 158 che parla della morte di Cristo e del suo innalzamento al Cielo per esempio: questi passi sono passi in cui sia Arafi che Mohaghegh, ma anche il grande imam di Al- Azhar Ahmad, Al-Tayyeb, (che ha firmato con il Papa la Dichiarazione di Abu Dhabi sulla Fratellanza Umana per la pace mondiale e la convivenza comune), ci spingono a ritrovarci nella fratellanza. Ma dobbiamo ritrovarla anche nelle figure così centrali come Gesù Cristo. Interessante notare che Gesù venga chiamato dal Corano come “Messia” e Dio stesso che chiama il bambino ancora non nato in questo modo quando dice: “Io ti darò Maria un bambino il cui nome sarà Messia”. E sempre nel versetto 158, parlando della morte di Gesù si legge: “in fondo non lo possono uccidere ma è stato Dio a farlo innalzare presso di sé”.  Sono versetti che vanno riletti per ritrovarci nei valori comuni e anche nelle figure comuni che abbiamo, per tradurre la nostra religiosità come servizio all’umanità. Quello che Gesù Cristo ha fatto nella teologia cristiana, col Mistero pasquale, col Mistero eucaristico e l’Incarnazione in un altro modo i due Ayatollah lo rileggono attraverso questi versetti coranici traducendo la religiosità come servizio all’unica famiglia umana.

ll ruolo dei capi religiosi e teologi in simili circostanze – dice l’Ayatollah Arafi nella lettera a Francesco è quello di "rafforzare le fondamenta della propria fede , proteggere la società, promuovere la preghiera e le suppliche alla presenza di Dio”… Ma c’è anche un monito ai governanti perché consentano questo abbraccio unitario lasciando da parte tutto ciò che divide in vista del bene comune.

R. – Assolutamente sì. Anche il segretario generale dell’Onu, António Guterres ha chiesto di fermare le guerre. Se lo fanno i leader politici devono farlo anche i leader religiosi. Anche le sanzioni altro non sono che una forma di guerra che in questo momento triste in cui affrontiamo un nemico comune, pesano di più. E’ il momento della prova per l’umanità, dice Arafi nella sua lettera, ma anche aggiungerei della prova delle religioni. Oggi se San Pietro è chiusa, anche La Mecca e La Kaaba sono chiuse e allora tutto questo va vissuto come un richiamo ad andare alla profondità del messaggio religioso che non è altro che servizio. Il cristianesimo lo dimostra in modo sublime con l’Incarnazione, ma anche l’Islam. Dobbiamo tutti ricordarci che le religioni arrivano e si rivelano per portare un bene alla società umana. La richiesta di Arafi ha come obiettivo finale quello di radunarci intorno ai valori comuni, valori rivelati, valori umani e spirituali.

Dall’Ayatollah Arafi arriva anche al Papa un ringraziamento per l’attenzione ai poveri e ai bisognosi: un altro punto che unisce dunque le due religioni e che forse nell’Islam è meno conosciuto?

R. - E’ proprio così. Noi tutti abbiamo visto il 27 marzo quella preghiera potente che è stata fatta da Papa Francesco sul sagrato di San Pietro e che ha avuto la capacità di radunare e far pregare  anche le comunità musulmane intorno a lui, in Italia e nel mondo. Questi sono messaggi veramente “celesti” perché uniscono la famiglia umana, i popoli e le religioni, come l’attenzione agli ultimi. Quale messaggio più forte dell’unità, della coesione, della collaborazione e della preghiera insieme, silenziosa o fatta di parole, per pregare per il bene dell’altro? Questa è davvero la forza del messaggio del Papa che raduna tutti e che suscita questa gratitudine verso di lui dei leader musulmani sciiti o sunniti del mondo.

L’Iran come tanti Paesi del mondo, in questo momento di crisi, ha messo in pausa i dissidi interni e quelli regionali oppure tutto questo continua e aggrava l’emergenza?

Durante questi giorni in verità sono stati liberati più di 50mila carcerati, segnali di distensione ci sono. Sicuramente questo nemico comune a tutti i popoli abbassa i toni, perché nel momento del dolore le mani si innalzano verso il Signore affinché porti guarigione e benedizione ad una popolazione stremata prima dalle guerre, come quella contro l’Iraq, e poi dalle sanzioni e dalle difficoltà esterne e interne. Sicuramente in questo momento l’epidemia è una priorità e tutto il resto è in pausa.

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07 aprile 2020, 13:15