La pandemia non ferma gli aiuti del Pam. L'impegno in Yemen e Burkina Faso
Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
La pandemia di Covid-19 non ferma l’azione del Programma Alimentare Mondiale, l’agenzia delle Nazioni Unite che coordina gli aiuti umanitari alimentari, ma non solo, in tutto il mondo. Interventi che l’emergenza coronavirus rende oggi ancora più indispensabili. Il Pam sta garantendo anche il trasporto aereo, dove questo è interrotto, per il personale umanitario, e per conto della comunità internazionale sta monitorando l’impatto della pandemia sulla sicurezza alimentare, l'accesso alla salute e ai beni di prima necessità nei paesi più a rischio. Tra questi ci sono lo Yemen, il Bangladesh con Cox’s Bazar, la città dei rifugiati rohingya e in Africa il Burkina Faso.
A Taiz, sul fronte dei combattimenti in Yemen
Le immagini girate da Jonathan Dumont, responsabile della comunicazione video del Pam, ci portano prima a Taiz, nello Yemen ancora martoriato dalla guerra civile, iniziata nel 2015. Nella città che è sulla linea del fronte dei combattimenti, il Programma alimentare mondiale ha attrezzato i suoi punti di distribuzione di alimenti e buoni pasto con dispositivi di protezione e igiene per gli operatori e gli ospiti. Nei centri di nutrizione, madri e bambini ricevono una fornitura di integratori alimentari per due mesi per limitare la frequenza delle visite e quindi i rischi di contagio.
In Bangladesh, tra i profughi rohingya di Cox's Bazar
Dallo Yemen al Bangladesh, nel campo di Cox’ Bazar, dove vive quasi 1 milione di profughi rohingya del Myanmar, con una situazione igienica drammatica e il rischio continuo di inondazioni e frane. Nel suo punto di distribuzione, il Pam sta attuando misure di distanziamento fisico e di prevenzione delle infezioni, e fornisce alle famiglie cibo per un mese, per limitare la frequenza delle visite. E’ consentito l'ingresso a una sola persona per famiglia, con lavaggio delle mani e misurazione della temperatura corporea.
Burkina Faso, dove il virus inizia a far paura
Dall’Asia all’Africa, in uno dei Paesi più colpiti dal Covid-19, il Burkina Faso, dove gli attacchi dei gruppi terroristici che si oppongono al governo e la siccità hanno causato la fuga di oltre 830 mila persone in un anno. Il 9 marzo si sono registrati i primi due casi di positività al nuovo coronavirus, casi che in meno di un mese sono diventati più di 300. Il Pam fornisce informazioni sanitarie e sta distribuendo cibo a più di 530 mila persone, con una serie di misure di prevenzione dal contagio, come il distanziamento sociale, la sanificazione e l'utilizzo di mascherine e guanti.
La storia di Mariam, profuga nel suo Paese per il terrorismo
A Kaya, Mariam Sawadogo riceve una razione mensile di cibo per lei e la sua famiglia. E’ di Tabrembin, nella regione del Sahel, ha 29 anni e 3 figli, e prima che iniziasse la rivolta antigovernativa, la sua famiglia viveva di agricoltura e allevamento di bestiame. Racconta che quando i gruppi armati sono entrati nel loro villaggio, hanno iniziato a rubare i polli e il bestiame, poi hanno iniziato ad uccidere. Con la famiglia è fuggita a Kelbo, ma quando la rivolta è arrivata anche lì, è scappata di nuovo. Mariam spiega che “la nuova malattia” ha cambiato le abitudini della famiglia: “Ora ci laviamo le mani più regolarmente con il sapone prima di mangiare o di bere acqua”. Cerchiamo, aggiunge, “di seguire rigorosamente le regole sanitarie che ci hanno insegnato per evitare la diffusione del virus".
Il direttore del Pam: la nostra azione è ancora più indispensabile
Il direttore esecutivo del Pam, David Beasley, fa il punto della situazione, e ricorda che l’agenzia dell’Onu con sede a Roma assiste in un anno tra gli 85 e i 95 milioni di persone in tutto il mondo. “Che si tratti di zone di guerra – spiega - di regioni con situazioni climatiche estreme o colpite dalla povertà, noi ci siamo, per migliorare la vita e anche per salvare vite umane". La pandemia di Covid-19, naturalmente, rende il lavoro del Pam ancora più indispensabile. “Infatti – chiarisce Beasley - se perdiamo i nostri finanziamenti o l'accesso ai Paesi, 150 mila persone potrebbero perdere la vita, ogni giorno per molti mesi. Questo è il motivo per cui le nostre operazioni devono continuare, sono fondamentali, sia che si tratti di distribuzione di cibo nelle emergenze, sia che si tratti di consegnare forniture mediche d'emergenza per l'Oms o l'Unicef in tutto il mondo. Noi siamo per collaborare con le nazioni e i loro leader, per salvare vite umane e migliorarle".
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