RD Congo: epidemie e inondazioni non fermano la missione della Chiesa
Giada Aquilino - Città del Vaticano
“La città di Uvira è completamente isolata. I ponti sono crollati, la centrale dell’acqua potabile ha ceduto e abbiamo paura che senza acqua potabile arriverà il colera. Ma poi c’è anche la fame, perché Uvira è una piccola città e non ci sono scambi”. Dalla Repubblica Democratica del Congo, è la drammatica testimonianza a Vatican News di monsignor Sébastien Muyengo Mulomba, vescovo di Uvira, nella provincia orientale del Sud Kivu, dopo le forti piogge e inondazioni che hanno colpito negli ultimi giorni la zona, nei pressi della frontiera col Burundi. In tutta l’area, tra il lago Tanganica e una catena montuosa, le precipitazioni hanno innalzato il livello dei fiumi Kavimvira, Mulongwe e Kalimabenge che attraversano la città di Uvira, gettandosi poi nel lago (Ascolta l'intervista in francese a monsignor Muyengo).
Il bilancio delle piogge torrenziali
Oltre 40 le vittime e ingenti i danni materiali: 15 mila case sono state distrutte dalla violenza delle acque e circa 80.000 persone soffrono le conseguenze delle inondazioni, ha fatto sapere l'Onu. Preoccupazione è stata espressa anche per i dispersi. Ai soccorsi partecipano pure le forze pakistane della Missione delle Nazioni Unite in Congo (Monusco), di stanza nella zona già percorsa da instabilità e violenze.
A Uvira, istituito un comitato di crisi
Al vescovo Muyengo è giunta la solidarietà di tutta la Conferenza episcopale della Repubblica Democratica del Congo, mentre tutto il Paese affronta l’emergenza Covid-19, con quasi 400 casi segnalati. “Questa sciagura - hanno scritto i vescovi congolesi in un messaggio - appesantisce la sofferenza delle popolazioni già impoverite e traumatizzate dalla deleteria situazione” sociale e di sicurezza. “Col Coronavirus - dice monsignor Muyengo - siamo isolati anche da Bujumbura, la capitale del Burundi, ad est, dove la maggior parte della gente va a farsi curare e a comprare le medicine. Non si può andare neppure verso Bukavu a nord, né a sud. La situazione è catastrofica: le persone hanno dovuto lasciare le proprie case a causa delle piogge e molte di queste abitazioni sono andate perse”. Sono almeno 11 mila le famiglie disastrate in tutta la diocesi, come risulta dai dati forniti dal comitato di crisi istituito proprio dal vescovo per cercare di capire quale sia la situazione nei quartieri della diocesi ed iniziare a fornire assistenza a “madri, padri a volte con 6, 7, 10 bambini, compresi cugini e cugine”. Dato che in questo momento di pandemia e dopo le inondazioni “non diciamo Messa, abbiamo sistemato le persone nelle chiese”, racconta il presule. “Il governo ha cominciato a dare qualche piccolo aiuto ma - spiega - non è sufficiente”, quindi “ci stiamo mobilitando per aiutare la gente con vestiti, medicine, cibo”.
Nuovi casi di Ebola
Il Fondo monetario internazionale ha intanto approvato un pacchetto di aiuti pari a 363 milioni di dollari per la Repubblica Democratica del Congo per affrontare il "forte shock causato dalla pandemia di Covid-19". Eppure nel Paese rimane aperto anche un altro fronte di emergenza, quello legato all’Ebola. L'ultima epidemia di febbre emorragica - la prima risale al 1976 - è scoppiata nel Paese africano il primo agosto 2018, uccidendo da allora oltre 2 mila persone. Quando l’Organizzazione mondiale della sanità stava per dichiararla estinta, in base agli standard internazionali, ai primi di aprile sono stati segnalati nuovi casi, tra cui uno a Beni, nel Nord Kivu. Lo testimonia da Butembo padre Gaspare Di Vincenzo, missionario comboniano giunto nel 1979 nell’allora Zaire.
R. - Un nuovo caso di Ebola c’è stato nella città di Beni, a 50 km da qui: tutte le comunicazioni sono state bloccate per evitare il diffondersi dell’epidemia e tenere la situazione sotto controllo.
Cosa significa l’Ebola per la Repubblica Democratica del Congo nel pieno dell’emergenza da Coronvarius?
R. - Significa creare altre paure, perché in due anni circa questa malattia ha causato almeno 2.500 morti e se per caso dovesse espandersi ancora di più insieme anche al Coronavirus qui sarebbe catastrofico.
Come reagisce la gente?
R. - A vederla da fuori, la gente qui a Butembo per il momento vive una vita ancora normale, con i mercati che funzionano. Ma parlando con le persone mi accorgo che c’è preoccupazione.
Per quanto riguarda la pandemia da Coronavirus qual è la situazione nel Paese?
R. - Soprattutto a Kinshasa si sono sviluppati diversi casi, quindi tutte le comunicazioni da e per la capitale sono interrotte ormai da 5 settimane. Quindi questo fenomeno è stato un po' circoscritto. Adesso qui nella regione del Nord Kivu, da 2-3 giorni sono state riaperte le comunicazioni stradali da Goma, che è il capoluogo, per Butembo e altre località, tranne appunto Beni. Le nostre chiese e tutti i luoghi di culto e le scuole restano ancora chiuse.
Come vive la popolazione nel Nord Kivu, che è una terra negli anni percorsa da forti instabilità?
R. - Qui sono quasi tutti dediti all’agricoltura e al commercio. Poi ci sono anche dei professionisti, ma le paghe irrisorie che ricevono non sono sufficienti per arrivare alla fine del mese, dunque tutti - anche per esempio gli insegnanti - coltivano la terra per poter arrivare alla fine del mese, altrimenti sarebbe la fame!
Cosa succederebbe se il Coronavirus arrivasse nelle vostre zone con le proporzioni registrate in Europa e in altre parti del mondo, proprio quando c’è paura anche per l’Ebola e per le insicurezze sul territorio?
R. - Significherebbe per esempio bloccare il commercio e l’agricoltura, quindi la fame. La popolazione per coltivare i campi si sposta a piedi per chilometri e chilometri. Se dovesse esserci un confinamento totale sarebbe veramente catastrofico.
Lei ha detto che in questo momento le chiese sono chiuse. Come riuscite voi sacerdoti, suore, missionari a stare vicini alla popolazione e a informarla anche sui pericoli di questo momento?
R. - A livello diocesano continuano a funzionare diverse radio che trasmettono anche le celebrazioni da parte del vescovo e di qualche altro sacerdote e anche dei comunicati per avvertire la gente di quanto sta succedendo. Poi, dato che celebrazioni pubbliche al momento non ce ne sono, come animatori missionari abbiamo distribuito dei fogli in ogni famiglia e predisposto una celebrazione liturgica familiare, per l’ascolto della Parola la domenica in comunione spirituale, come ci suggerisce il Santo Padre.
Attraverso la radio dunque ci si tiene aggiornati: si è saputo per esempio che anche un vescovo ha perso la vita per il Coronavirus?
R. - Sì, abbiamo avuto la notizia della morte di un vescovo che era responsabile della casa presidenziale a Kinshasa. Dalle nostre parti, la gente ci chiede consigli sull’attuale momento, anche se per ora non c'è un confinamento.
Come proseguono le attività dei centri di formazione che voi missionari portate avanti a Butembo?
R. - Noi abbiamo due comunità di formazione. Uno è per i propedeuti, il centro don Mazza, con 15 persone, e l’altro per i postulanti, a vocazione ‘fratelli’, per la promozione umana: è il San Giuseppe. Ci sono 11 persone. Con loro tutte le mattine celebriamo la Messa, secondo le disposizioni date per il contenimento del Coronavrius. Ma i professori che venivano da fuori a tenere i corsi ora non possono venire. Quindi stiamo occupando i ragazzi con delle catechesi e dei lavori pratici. I nostri postulanti che andavano all'università per adesso non vanno e noi formatori abbiamo organizzato per loro degli incontri di formazione spirituale.
Avete anche delle altre attività di cui voi missionari vi occupate?
R. - Ci occupiamo di 15 bambini orfani, anche a causa dell’Ebola, insieme ad una suora di Brazzaville, suor Giuditta. Allo stesso tempo ci prendiamo cura di un gruppo di ragazzi di strada, sono una trentina. Normalmente la domenica andiamo a fare un po' di catechesi tra loro, portando anche il pranzo, poi una volta a settimana vengono qui in comunità per fare dei piccoli lavoretti e pranzare. In questa situazione di Coronavirus però vengono una volta alla settimana, il venerdì, e diamo loro un sacchetto con del riso e dei fagioli. Poi anche del sapone per poter lavare la biancheria ma anche loro stessi, dato che non hanno una dimora fissa e c’è dunque maggiore pericolo di contagio per loro e per gli altri. Se il fenomeno dovesse continuare, stiamo preparando anche delle mascherine da distribuire a ciascuno di loro.
Nel Sud Kivu ci sono state pesanti inondazioni, mentre in altre parti del Paese si sono registrati scontri tra gruppi etnici e forze dell’ordine. Che momento è questo per il Congo ex Zaire?
R. - Le piogge torrenziali sono state appunto nel Sud Kivu. E sembra che ora sia siano un po’ fermati anche i massacri che avvenivano a Beni e nel suo territorio. Ma qui in città da noi permane una certa insicurezza soprattutto la notte, perché ci sono dei gruppi di ribelli, chiamati Mai Mai, che imperversano e attaccano case private per svaligiarle, provocando paura e a volte anche morti. Ieri per esempio avevo un incontro col sindaco ma ho dovuto aspettare un’ora e mezza perché era in corso una riunione d'urgenza di sicurezza per questo problema delle bande armate.
Ma c’è il rischio che in un momento così difficile questi fenomeni possano aumentare?
R. - Sì, sono delle situazioni che creano panico, paura e nello stesso tempo tali attacchi potrebbero favorire la diffusione del virus.
Qual è l’augurio per la sua comunità del Nord Kivu e per tutti i congolesi?
R. - L’augurio è che la pandemia del Coronavirus possa essere bloccata, per riprendere la vita normale. La Conferenza episcopale congolese si è fortemente impegnata. Il cardinale arcivescovo di Kinshasa, Fridolin Ambongo Besungu, è stato nominato coordinatore del Consiglio di gestione del Fondo di solidarietà nazionale per la lotta contro l’emergenza da Covid-19 creato dal governo. E ci auguriamo che questo possa portare beneficio a tutto il Congo.
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