Un giornalista colpito dal Covid: in ospedale non avevo nulla, ma Dio mi ha dato tutto
Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano
È stata, nonostante la malattia, la Pasqua più bella della sua vita, scandita dalla presenza del Signore e in compagnia di “un gigante della fede”, Papa Francesco. Sono queste alcune delle parole con cui Andrea Antonuccio, direttore del settimanale diocesano “La Voce alessandrina”, ripercorre l’esperienza della malattia innescata dal coronavirus. L’arrivo in ospedale e il peggioramento delle condizioni di salute fino alla richiesta fatta al cappellano, di ricevere l’unzione degli infermi, è solo una parte della vicenda. L’altro volto di questo denso frangente di vita, segnato duramente dal Covid, è illuminato dall’amore di Dio, dalle parole di Papa Francesco per la Pasqua: “mentre parlava al mondo - ricorda Andrea Antonuccio - parlava a me”: “sono grato al Signore che ha voluto farmi percorrere una strada così, ho scoperto quello che non avevo capito e scoperto prima”. La preghiera, ha scritto Andea Antonuccio nel suo editoriale, è "l'arma più potente per guarire corpo e anima".
R. - Ho trascorso un mese in ospedale, in isolamento. Sono arrivato in ospedale in condizioni molto critiche. Poi piano piano mi sono ripreso e l'unica compagnia che potevo avere erano quelle persone che riuscivo a sentire al telefono, al cellulare. E non sono stati grandiosi soltanto i miei cari amici. Ma ho avuto una grande forza e mi ha fatto veramente compagnia, quasi una presenza fisica, quella di Papa Francesco. A partire dal gesto del 27 marzo con la preghiera sotto la pioggia e il meraviglioso affidamento alla Madonna. Da quel momento in poi veramente ho sentito il Papa come un compagno di strada e non mi sono perso più nulla. Non mi sono perso una Messa, le celebrazioni per il Giovedì Santo, il Venerdì Santo, il giorno di Pasqua. È stata veramente un’esperienza inaspettata. Una compagnia a distanza ma reale. Questo mi ha permesso, per esempio, di trascorrere un giorno di Pasqua splendido e pieno, malgrado tutte le limitazioni legate alla degenza in ospedale e alla mia condizione fisica. Non avevo nulla, ma avevo tutto, in compagnia di un gigante della fede.
È stata una compagnia reale, quella di Papa Francesco, durante questo percorso difficile. Ad un certo punto, anche i medici sembravano, purtroppo, aver perso la speranza di una guarigione…
R. – Erano molto dubbiosi perché io non miglioravo mai. Sono arrivato veramente in una situazione di grossa difficoltà. Temevano che non ce la facessi. Poi, piano piano, ho un po' recuperato ma non raggiungevo ancora i valori polmonari utili per dire che finalmente ero guarito. Il sabato prima della domenica delle Palme è venuto il cappellano dell'ospedale e io gli ho chiesto l'unzione degli infermi. E da lì sono come ripartito, non tanto fisicamente ma proprio nello spirito, nell’umore e nella voglia di lottare: questa è una battaglia. Chi si trova in questa situazione deve sostenere una battaglia.
Durante questa battaglia, come hai scritto nell’editoriale, la Pasqua è stata la più bella e piena della tua vita…
R. - È stato proprio così perché quando la tua iniziativa è bloccata perché non puoi veramente fare nulla, scopri l'iniziativa di Dio su di te e sulla realtà. Ogni cosa che accadeva era un piccolo miracolo ed era un segno meraviglioso del Signore. Ho vissuto una Pasqua in cui non ho avuto distrazioni. Non mi sono potuto distrarre con l'altro, con il pranzo, con gli amici. Non avevo nulla di tutto questo. Ma avevo tutto: avevo la presenza del Signore. Una presenza tangibile perché poi si manifestava con un gesto di un infermiere, con una telefonata, con un messaggio, con Papa Francesco che mi parlava mentre parlava al mondo. Mentre parlava al mondo, parlava a me e questa sua capacità di parlare al mondo e di parlare alla singola persona è propria solo dei grandi, non solo dei grandi della storia. È stata una Pasqua di una profondità in cui avevo solo il Signore. Spero che sia sempre così la mia Pasqua, non come quelle che ho passato prima, magari anche apparentemente più belle. Ma non erano così belle.
Una Pasqua con il Signore: Dio e l'essenziale. Ora sai per certo che la preghiera è “l'arma più potente per guarire corpo e anima”…
È veramente così. Ha pregato per me veramente tantissima gente. La domenica della Misericordia, il 19 aprile, ero ancora un po' in difficoltà. Il 20 aprile mi hanno fatto una Tac e i polmoni erano “nuovi”. Da quel momento, dopo tre giorni, sono andato a casa. Il 23 aprile sono tornato a casa. Dopo la Tac, i medici erano increduli. Si aspettavamo di trovare dei problemi. E invece hanno trovato dei “polmoni bellissimi”. Mi hanno fatto togliere l’ossigeno perché non serviva più. Sono doppiamente grato al Signore. Sono grato per la guarigione fisica ma soprattutto per questi 31 giorni in ospedale. Non li maledirò mai. Sono grato al Signore che ha voluto farmi percorrere una strada così: ho scoperto quello che non avevo capito e scoperto prima.
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