Covid-19. Allarme Unicef: proteggere i bambini da abusi e violenze
Adriana Masotti - Città del Vaticano
È "da intendersi consentito, ad un solo genitore, camminare con i propri figli minori in quanto tale attività può essere ricondotta alle attività motorie all'aperto, purché in prossimità della propria abitazione". Lo prevede la nuova circolare inviata martedì scorso dal Ministero italiano dell'Interno ai prefetti per "chiarimenti" sui divieti di assembramento e spostamenti. La disposizione tocca una questione importante, quella cioè della vita in famiglia in questi tempi di coronavirus in cui, per la sicurezza di tutti, la parola d’ordine è: “Io resto a casa”. Con il passare del tempo, infatti, si rende sempre più evidente che la pandemia in corso non tocca solo la salute o l’economia di ogni Paese colpito. Una delle conseguenze più pericolose sul piano sociale è il rischio dell’aumento delle tensioni e delle violenze all’interno della famiglie ai danni soprattutto di donne e bambini, i soggetti solitamente più esposti.
L'allarme per la sicurezza dei bambini nel mondo
L’Unicef avverte in una nota che “centinaia di milioni di bambini in tutto il mondo dovranno probabilmente affrontare minacce crescenti per la loro sicurezza e il loro benessere - tra cui maltrattamenti, violenza di genere, sfruttamento, esclusione sociale e separazione da chi si prende cura di loro - a causa delle azioni intraprese per contenere la diffusione della pandemia COVID-19". Per le ragazze, l’Unicef parla di alto rischio dell’aumento di sfruttamento sessuale, abuso e matrimonio infantile. L'agenzia delle Nazioni Unite per l'infanzia, insieme ai suoi partner dell' "Alleanza per la protezione dei bambini nell'azione umanitaria", a cui aderiscono un centinaio di organizzazioni, ha pubblicato quindi alcune linee guida per sostenere i governi e le organizzazioni coinvolte nella risposta, raccomandando che la protezione di tutti i bambini sia tenuta nella massima considerazione nelle misure di controllo dei contagi.
Azzopardi: la casa non è un luogo sicuro per tutti
Sul rischio che la sicurezza e il benessere dei bambini e anche delle donne, in questo momento venga meno garantita, abbiamo sentito il parere di Andrew Azzopardi, maltese, coordinatore delle task forces volute da Papa Francesco nell’ambito dell’impegno per la tutela dei minori nella Chiesa, e varate lo scorso febbraio con lo scopo di assistere le Chiese locali nel preparare e aggiornare le linee guida in materia:
R. – E’ molto importante seguire le direttive dei governi per la sicurezza della comunità, allora stare a casa è molto importante però è importante pure capire che la casa non è un luogo sicuro per tutti. I governi dei vari Paesi devono riconoscere questa cosa e mobilitare un servizio di assistenza sociale in prima linea, ovviamente fatta da professionisti armati di tutti i necessari dispositivi di protezione personale, però, come dicevo, la casa non è un luogo sicuro per tutti. Questa è una preoccupazione reale, i professionisti del settore medico sono veramente i nostri eroi, però ci sono anche altri professionisti che sono pure fondamentali nella gestione delle conseguenze di questa pandemia. Infatti la scorsa settimana ho partecipato a un webinar, un seminario tramite internet organizzato dall’ "Alleanza per la protezione dell'infanzia dell'azione umanitaria", c’erano 500 professionisti e nel webinar c'è stato un riconoscimento del lavoro dell'assistente sociale che deve essere considerato come servizio chiave. Chiave perché nello stress di stare confinati a casa i rischi sono molto più alti. Ora, ci sono dei bambini che, in una situazione diciamo ‘normale' sono già a rischio, ma in questo ambiente di così alto stress il rischio cresce, e se questi professionisti, assistenti sociali, psicologi lavorano da casa, non hanno modo di avere accesso a queste persone che possono essere le vittime di oggi o di domani. E allora chi li può proteggere? Questo è il dilemma che abbiamo noi professionisti. Il lavoro a casa è una necessità in molte parti del mondo, ma molte persone vulnerabili non hanno accesso a casa ad internet e alla tecnologia.
Quindi lei suggerisce che i professionisti avvicinino le famiglie, cominciando, forse, da quelle che già sono state segnalate in qualche modo o che si sa possono essere più rischio…
R. - Quello che dico io è che il governo e i professionisti devono continuare ad offrire aiuti a queste persone che sono a rischio di abuso, a rischio di violenza. Lei ha parlato di bambini e donne: i professionisti devono raggiungere queste persone vulnerabili in un modo sicuro, però non è che le persone a rischio non sono più a rischio perché c'è una pandemia, anzi per colpa dello stress e della preoccupazione che c'è globalmente, come ha detto l’Unicef il rischio è molto di più. Allora i governi e le Ong che lavorano con le persone vulnerabili, devono collaborare per offrire una strategia di contenimento e di protezione per loro, devono offrire ai professionisti la possibilità di raggiungere queste persone o via internet o anche, in un modo sicuro, in prima persona.
Questo appello è molto importante per sensibilizzare su questo problema, ma c'è qualcosa che può fare ancora di più o di altro la Chiesa, le parrocchie, e che voi come task forces potete suggerire?
R. - Nei Paesi dove la Chiesa offre servizi primari che sono essenziali, dove ha un ruolo molto importante nel raggiungere le persone più fragili, la Chiesa deve continuare a fare le cose che sta facendo ma in modo sicuro. Nei Paesi dove non ha servizi primari, come servizi medici o di assistenza sociale, la Chiesa deve supportare il governo nell'implementazione delle misure e lanciare un messaggio ai fedeli di seguire le direttive dei governi e di segnalare se ci sono persone che sono a rischio. Questa è una cosa molto importante: non è che, ad esempio, un parroco deve uscire e andare a visitare o a proteggere delle persone, perché in questo momento c'è il rischio che faccia più danni che cose buone, no, dobbiamo piuttosto segnalare se c'è un rischio alle autorità e poi le autorità devono offrire dei servizi a queste persone, questo è l’importante.
Stare attenti, dunque, nei condomini, lì dove si vive…
R. – E sì: una cosa positiva che sta uscendo da questa crisi mondiale, dal mio punto di vista, è il senso di comunità che c'è ancora e che è cresciuto, direi, in queste settimane. Le persone che cantano dai balconi o gli applausi che facciamo ai medici e alle persone che lavorano con loro, o quelli che lasciano il cibo in strada per altre persone che non hanno la possibilità di comprarsi del cibo ecc… C'è questo senso di comunità, ora questo senso di comunità deve pure inglobare dentro di sé la coscienza che ci sono forse delle persone che abitano vicino a noi che hanno bisogno di protezione e se noi pensiamo, sentiamo qualcosa che ci preoccupa, non è che noi dobbiamo andare a bussare a quella porta, a vedere di persona, però possiamo segnalare alle autorità che può esserci qualcuno a rischio. Allora, quel senso di comunità può aiutare anche nella protezione delle persone vulnerabili e noi come Chiesa possiamo contribuire a far crescere questo senso di comunità.
Caffo: aiutare i genitori ad organizzare la loro vita in famiglia
Anche in Italia, la chiusura delle scuole e le restrizioni ai movimenti, pur necessarie, stanno sconvolgendo la routine dei bambini, lasciando soli i più fragili di fronte ad eventuali pericoli e disagi. Circa 8 milioni i ragazzi in età scolare che oggi sono a casa, 1 milione e 200 mila i minorenni che vivono in povertà. Che il problema rappresentato dal coronavirus non sia solo di tipo sanitario, lo conferma ai microfoni di Vatican News, Ernesto Caffo, ordinario di Psichiatria Infantile e adolescenziale all’Università di Modena e Reggio Emilia (Italia), presidente e fondatore di S.O.S Il Telefono Azzurro Onlus e presidente della Foundation Child, nominato da Papa Francesco, nel 2018, membro della Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori:
R. - Certamente, accanto all’ambito sanitario, in questo momento ci sono quelle grandi sofferenze talvolta meno visibili che sono quelle mentali, che riguardano gli adulti che sono molte volte in una situazione di difficoltà anche rispetto a quella che è la loro identità, la loro vita quotidiana, e ancora di più i bambini. I bambini e le persone fragili in generale, i disabili che sono a casa e che non possono frequentare le strutture di aiuto e di supporto. I bambini ora non hanno molte volte quella opportunità di frequentare i coetanei, hanno magari la lezione a distanza che gli viene fatta, dov'è possibile, però mancano di quel rapporto con i coetanei che è fondamentale per loro. Allora, le preoccupazioni che hanno gli adulti anche rispetto al futuro, al lavoro, rispetto alla sicurezza familiare, e il tema legato ovviamente alla mancanza per i bambini di quella possibilità di interazione sociale che a loro interessa di più, portano tensioni che a volte divengono violenza. Una violenza che spesse volte è una violenza costante, invisibile, che è quella psicologica e talvolta diventa anche violenza fisica perché spesso la tenuta delle famiglie non è sufficientemente adeguata. Questo è un elemento su cui dobbiamo riflettere perché mancano all'esterno servizi di aiuto e di supporto se non per i casi più gravi e questa sofferenza sicuramente la porteremo nelle nostre famiglie per molto tempo, perché queste sono prove difficili, ed è per questo che occorre trovare delle risposte, organizzando la vita in un certo modo, trovando modalità in cui parlare insieme, e questo vuol dire anche cercare di trovare nuovi strumenti da parte dei genitori per parlare con i figli, per dare loro fiducia e anche speranza.
Ci sono dei dati, dei riscontri concreti riguardo al rischio o all’aumento di tensioni e violenze nelle famiglie?
R. - Sì, noi abbiamo fatto una rilevazione anche in questi ultimi giorni, sia per quanto riguarda il servizio 114 che noi gestiamo con il Ministero della famiglia, sia per quanto riguarda il numero 19696 che è la linea rivolta ai bambini e adolescenti. Noi vediamo emergere un aumento, quasi un raddoppio delle chiamate che ci pervengono. E talvolta anche chiamate che vengono fatte in situazioni di difficoltà, spesso quando il genitore si allontana da casa, perché riguardano casi di violenza familiare. C’è poi un tema importante che è quello delle separazioni genitoriali, quindi genitori che chiedono indicazioni su come fare per i bambini che non sono in quel momento affidati a loro, per poterli vedere. Ci sono chiamate di bambini che spesso ci parlano della loro difficoltà a sostenere una vita in casa e ci sono stati dei casi recentissimi di tentativi di suicidio e anche di fuga da casa. Vediamo che più passa il tempo, più la capacità da parte di molti adolescenti dello stare a casa diventa difficile, anche perché mancano, appunto, dei contatti se non virtuali con i coetanei che per loro sono molto molto importanti.
Che cosa si può fare, allora, per far sentire meno soli questi bambini e le loro famiglie?
R. - Occorre organizzare la giornata in modo tale che i bambini abbiano dei momenti in cui si ritrovano con i coetanei nell'attività scolastica e possono quindi anche parlare tra loro, mentre gli insegnanti dovrebbero sempre più anche far raccontare ai bambini quelle che sono le loro paure, legate ad esempio alla salute dei genitori o dei nonni, cercando che il racconto possa permettere di esprimere quello che sono le loro tensioni. Dall'altra parte occorre avere nella giornata dei momenti di gioco, di condivisione del momento del pranzo e della cena, che possono essere momenti di forte equilibrio familiare, cercando poi di trovare dei momenti in cui guardare insieme, genitori e figli, un film, di fare insieme delle attività che possono anche essere di gioco sia quello reale, sia quello on-line. E’ necessario però che ci siano strutture di supporto che possano dare un aiuto quando il genitore è in difficoltà perchè poi possa dare a sua volta un aiuto ai membri della sua famiglia che sono in uno stato in sofferenza e questo vale soprattutto per quelle famiglie che all'interno hanno persone con disagio mentale grave.
La scuola, i servizi sociali: c’è bisogno quindi di una concertazione da parte di più soggetti…
R. – Sicuramente occorre una rete di supporto che non è soltanto sanitaria, ma anche sociale, educativa e psicologica e questo vuol dire in qualche modo rivedere un po' anche la nostra qualità dei servizi alla persona, cercando anche in termini di prospettiva di organizzare immediatamente, quando le cose potranno essere meno preoccuparti per la parte sanitaria, dei momenti in cui ci si ritrova, in cui ci si ricostruisce in qualche modo un futuro, perché quello che noi vediamo è l'emergere di disturbi dell’umore, di difficoltà nel pensare a un futuro e quindi bisognerà cercare di ripartire dando questa speranza. Speranza che ovviamente deve essere sempre realistica, legata anche a prospettive economiche che devono essere date, in qualche modo, a tutti coloro che hanno problematiche di questo tipo.
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