La voce potente di Iqbal risuona ancora: no al lavoro dei bambini
Roberta Gisotti – Città del Vaticano
Aveva solo 12 anni, Iqbal Masih, quando fu ucciso nel giorno di Pasqua, il 16 aprile 1995. Il bambino pakistano, nato in una famiglia cristiana poverissima, nella regione del Punjab, era diventato un esponente importante contro il lavoro minorile nel suo Paese e non solo, temuto e osteggiato da imprenditori-padroni e autorità conniventi. Il suo omicidio, a distanza di 25 anni, è rimasto impunito: colpito alla schiena da una scarica di proiettili.
Una storia di sfruttamento e di riscatto
Una storia drammatica di sfruttamento ma anche di riscatto dall’oppressione quella di Iqbal. Piccolo schiavo, al lavoro a soli 4 anni in una fabbrica di mattoni, quindi in una fabbrica di tappeti, ceduto dalla sua famiglia per ripagare un debito di pochi dollari: 10/12 ore al giorno incatenato ad un telaio, maltrattato, picchiato e sottonutrito. Poi l’inizio di un cammino di liberazione, grazie all’incontro con il giornalista, Ullah Khan, attivista dei diritti umani, fondatore in Pakistan del Fronte di liberazione del lavoro forzato, che riesce a riscattarlo, a riportarlo a scuola e a farne un portavoce dei diritti dei bambini.
La testimonianza in giro per il mondo
A soli 10 anni Iqbal porta per il mondo la sua testimonianza, viaggia in Europa e negli Stati Uniti, accolto in consessi internazionali, animando il dibattito sui diritti negati all’infanzia in numerosi Paesi del mondo. Premiato e onorato, ottiene successi pure nel suo Paese dove cresce però anche l’ostilità per questo piccolo cristiano animato da così tanta fede per la giustizia sociale.
Simbolo della lotta contro la schiavitù infantile
La morte violenta di Iqbal ottiene di farne un simbolo potente nella lotta contro la schiavitù infantile, che a distanza di 25 anni dalla sua scomparsa segna il passo in molte regioni del mondo. Nonostante i passi avanti nella legislazione internazionale e nelle normative nazionali di molti Stati, si stima infatti che ancora oggi, nel 2020, oltre 150 milioni di bambini siano costretti a lavorare, oltre 70 milioni in condizioni pericolose e circa 9 milioni ridotti in schiavitù. Sono dati inaccettabili, che tradiscono realtà di profondo sottosviluppo, di indigenza estrema delle famiglie, di necessità di integrare i redditi degli adulti con le misere paghe dei bambini, di mancato accesso ai circuiti legali di credito per cui si saldano i debiti vendendo i figli, di sistemi scolastici inaccessibili ed anche di pressioni di imprenditori e industrie per avere manodopera a bassissimo costo.
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui