Afghanistan, incognita Isis nel dialogo tra Kabul e talebani
Elvira Ragosta – Città del Vaticano
Ancora violenza in Afghanistan. Il sedicente Stato islamico, in un comunicato diffuso su Telegram, ha rivendicato l’attentato di ieri contro un corteo funebre a Jalalabad, che ha provocato decine di vittime. Intanto, è salito ad almeno 24 morti e 16 feriti il bilancio dell’altro attacco avvenuto, sempre ieri, al reparto maternità di un ospedale di Kabul gestito da Medici senza frontiere. Tra le vittime, secondo i media, anche due neonati, e 11 tra madri e infermiere. Nessun gruppo ha per il momento firmato la responsabilità di questa strage nella capitale e i talebani hanno comunicato la loro estraneità. Una forte condanna per entrambi gli avvenimenti che hanno causato la morte di civili è giunta dalle Nazioni Unite, dall’Unione europea, dalla Nato e dagli Stati Uniti.
Gli attacchi di ieri arrivano a sconvolgere un Paese già allo stremo dal punto di vista umanitario e alle prese ora con il contenimento dell'epidemia di coronavirus. Per Marco Lombardi docente di Sociologia all’Università Cattolica di Milano e direttore del centro di ricerca Itstime, l’azione dell’Is in Afghanistan potrebbe essere un modo per minare il possibile dialogo tra il governo di Kabul e i talebani. “Non solo. L’Is - aggiunge il professore - è presente in Afghanistan da tempo, è una sua base importante nel progetto di delocalizzazione ed è presente con l’islamic state del Khorasan province, una delle province importanti e storiche di Daesh. Questo ci porta a dire che le rivendicazioni sono attendibili e che non solo inquadriamo gli attentati dell’Is nella volontà di minare gli accordi di pace, ma, anche per il fatto che la Provincia del Khorasan ha avuto ultimamente una serie di batoste, sono stati arrestati negli ultimi 30 giorni i suoi due capi più importanti, questi attentati si leggono anche una riaffermazione importante di esistenza di questa provincia di Daesh in Afghanistan”.
Il dialogo governo-talebani e gli equilibri di potere
Dopo gli attacchi di ieri, il presidente afghano Ashraf Ghani ha ordinato alle forze di sicurezza e all'esercito di riprendere l' "offensiva" contro i talebani. Lo ha riferito il sito di 'Tolo News', precisando che in un messaggio televisivo, il presidente ha affermato che i talebani hanno ignorato i ripetuti appelli a ridurre la violenza e al cessate il fuoco e ha aggiunto che invocare una tregua non è un segnale di debolezza, ma dimostra l'impegno del governo per la pace. “Il dialogo tra il governo e talebani è un punto prevedibilmente stanco e difficile. Tanto è vero che – aggiunge ai nostri microfoni l’analista della Cattolica - pochi giorni fa c'è stato un rinforzo dei colloqui in Qatar con i talebani, perché una delle chiavi per la pace era garantire un certo periodo di non attacco, di non conflitto, invece come sempre le cose si stanno dinamizzando. Se l’idea di pace nazionale è un grande contenitore al quale tutti, almeno formalmente, dicono di aspirare, poi, quando si va sul territorio, interessi tribali, di partito ed economici fanno precipitare in scontri quotidiani anche molto pesanti quelli che sono invece degli indirizzi generali di pace. Quindi è in tribolazione il tutto ed è sotto cura americana nuovamente”. Circa l’ipotesi di una tregua, tra le parti, Lombardi aggiunge: “Non sfuma, ma la parola tregua ha concetti diversi in diverse parti del mondo. Qualche attacco purtroppo fa parte di tante tregue in tante parti del mondo e quindi l’ak-47 diventa un meccanismo di pressione non per interrompere ma per ri-orientare i dialoghi”.
Il controllo del territorio
Per il docente della Cattolica, il controllo del territorio afghano è molto localizzato, dipende da accordi locali e le manifestazioni di potere dipendono dalle manifestazioni comunicative. “Certamente c'è un potere riconosciuto, che ha una sua capacità di dialogo, talebani e Governo centrale afghano, e c'è un potere sul territorio che sta annaspando ma che sta cercando di affermarsi ed è quello appunto di Daesh, che sta nelle aree orientali dell'Afghanistan. Non per niente - aggiunge - nei giochi di pace sono stati pesantemente chiamati in causa dagli americani sia i pakistani sia gli indiani, cioè coloro i quali hanno gli interessi di smettere in sicurezza maggiormente l’area orientale dell’Afghanistan”.
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