Afghanistan: Ghani e Abdullah insieme alla guida del Paese
Giancarlo La Vella – Città del Vaticano
In Afghanistan sembra risolversi la lunga fase di stallo politico, iniziata dopo le elezioni presidenziali del settembre 2019. Le consultazioni videro, sulla carta, la vittoria del presidente Ashraf Ghani, ma il risultato fu subito contestato dall’altro candidato più accreditato alla guida dello Stato, Abdullah Abdullah, che parlò di evidenti brogli. Per mesi il contrasto tra i due ha praticamente bloccato la vita di un Paese già afflitto da gravi problematiche e, soprattutto, il difficile dialogo di pace con il fronte talebano già al potere in passato. Ora i due leader hanno voltato pagina sui recenti contrasti e hanno firmato un accordo per la condivisione del potere. In base all’intesa Ghani rimarrà alla presidenza del Paese, mentre Abdullah guiderà la Commissione di riconciliazione nazionale. Inoltre diversi membri del suo partito faranno parte del governo. Tra i primi commenti positivi alla svolta, quello del segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, che ha salutato con favore l'accordo di condivisione del potere stipulato tra i due rivali politici e li ha esortati a rinnovare i loro sforzi per la pace. Sulla stessa linea i commenti degli Stati Uniti con il segretario di Stato, Mike Pompeo, che si è rammaricato per il tempo perso in inutili “muro contro muro”. Ma con questa intesa, secondo Riccardo Redaelli, docente di Geopolitica all’Università Cattolica di Milano, Ghani e Abdullah non hanno fatto altro che replicare l’accordo postelettorale delle penultime consultazioni, quando si era creata una situazione del genere. Aspetto positivo è l’aggregazione delle due importanti etnie pashtun e tagika.
I talebani tornano a colpire
Di certo la fine della conflittualità politica in Afghanistan non avviene in un clima tranquillo. Martedì scorso un sanguinoso attacco ha colpito il reparto di maternità di un ospedale a Kabul, causando 24 morti, tra i quali alcuni neonati. Mentre ieri un attentato suicida a Ghazni, nell’Afghanistan orientale, ha provocato la morte di 9 persone e il ferimento di altre 40.
L’azione terroristica è avvenuta vicino a un compound della Direzione Nazionale della Sicurezza. Dietro questi episodi ci sono i talebani, che hanno rivendicato gli attacchi. Il fronte fondamentalista non ha mai smesso di ricorrere alla violenza, nonostante la firma a fine febbraio di un accordo con gli Stati Uniti che sanciva il ritiro di tutte le truppe straniere dal Paese entro quattordici mesi.
L'Afghanistan di fronte ai problemi di sempre
I problemi dell’Afghanistan, secondo Riccardo Redaelli, sono sotto gli occhi di tutti. Da una parte, gli Stati Uniti che vogliono disimpegnarsi dal Paese dopo l’incomprensibile accordo con i talebani, nonostante la Nato, di cui gli Usa sono parte, appoggino il governo di Kabul.
Dall’altra, i continui atti di violenza con cui i fondamentalisti sembra vogliano dire di non essere propensi a intraprendere alcuna via diplomatica, optando per lo scontro frontale. Di fronte a questa situazione, afferma Redaelli, l’Afghanistan rischia l’isolamento e il caos totali. La speranza è che si realizzino i propositi dichiarati dopo l’intesa Ghani-Abdullah: realizzazione di un’amministrazione più inclusiva, responsabile e competente, assicurare una via certa per la pace, miglioramento della governance, protezione dei diritti e rispetto delle leggi e dei valori.
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