Covid19: aiuti negati ai cristiani del Pakistan
Roberta Gisotti – Città del Vaticano
Tutti si augurano che la pandemia possa infine rendere migliore il mondo, accrescendo nella sofferenza la condivisione tra i popoli e la solidarietà tra le persone ma occorre vigilare con maggiore attenzione, in questa fase di isolamento e privazioni sugli abusi in aumento di cui sono vittime le classi più svantaggiate nelle società. Un allarme serio in tal senso giunge in questi giorni dal Pakistan, che ha superato la soglia dei 900 morti per Covid19, con oltre 42 mila contagiati, quasi 30 mila malati e 12 mila guariti. Nell’attuale fase di lockdown le minoranze religiose, specie quella cristiana, stanno registrando ulteriori discriminazioni, nell’accesso agli aiuti. Portavoce di questa denuncia è Alessando Monteduro, direttore generale della Fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che soffre.
R. - Noi abbiamo raccolto la denuncia di un nostro autorevolissimo rappresentante, perché parliamo del dottor Cecil Chaudhry, direttore esecutivo della Commissione Nazionale Giustizia e Pace, che fa riferimento alla Conferenza episcopale del Pakistan. Non solo lui - ma la sua autorevolezza ovviamente conferisce maggiore importanza e rilevanza alla denuncia - racconta come purtroppo sono numerosissimi gli episodi di discriminazione nella gestione di quella che è la fase emergenziale correlata al Covid19; discriminazione che si realizza ai danni delle minoranza religiose, per cui viene negata, impedita la distribuzione del cibo e di quelli che sono gli elementi necessari per la protezione sanitaria alle comunità cristiane o induiste. Questa mancata distribuzione ai danni delle minoranze religiose viene giustificata perché questi aiuti sarebbero il frutto della zakat, l’elemosina classica rituale prevista dalla Sharia, la legge coranica. Ecco perché ci sono stati anche casi di imam che, anche nelle grandi città come Lahore, avrebbero intimato ai cristiani di non presentarsi alla distribuzione di questi aiuti.
E’ stato fatto però appello al governo, che deve rispondere dell’assistenza verso tutti i cittadini?
R. - Assolutamente sì, i cristiani del Pakistan sono innanzitutto cittadini pakistani, ma purtroppo sono considerati troppo spesso di serie B e soffrono anche per questa ragione, perché non stiamo parlando della parte della società più facoltosa o più qualificata, per tanti motivi che raccontiamo da anni. I cristiani in Pakistan sono infatti oggetto di una serie di discriminazioni, ad esempio non possono aprire ristoranti, non possono spesso accedere a concorsi pubblici se non a quelli per professioni più umili, non possono fare gli insegnanti. I cristiani in Pakistan sono quindi la componente della società maggiormente sofferente, sottopagata con lavori che realmente rappresentano le frontiere delle schiavitù del XXI secolo. Io personalmente quando visitai il Pakistan, lo scorso anno a Lahore, ebbi modo di visitare le fornaci dei mattoni, vere e proprie forme di schiavismo nel nostro tempo. Ecco è giusto e doveroso che il governo pakistano che avrebbe dato qualche barlume nel corso degli ultimi anni di maggiore considerazione per le minoranze e per il rispetto della libertà religiosa, si faccia carico anche della sofferenza dei cristiani in quanto cittadini del Pakistan.
Il Pakistan è spesso oggetto di denuncie di gravi discriminazione nei confronti dei cristiani che rimbalzano anche all'estero. Allora a che punto è il dibattito politico interno su questo scottante tema e a che punto è la reazione delle Nazioni Unite?
R. - Preferirei sorvolare sulla reazione delle Nazioni Unite, perché non si può dire che le istituzioni sovranazionali stiamo facendo ‘pesare’ al Pakistan – da ogni punto di vista, innanzitutto economico, finanziario, commerciale - le angherie, le discriminazioni, le persecuzioni cui sono sottoposti gli appartenenti ai gruppi religiosi minoritari. Come dicevo prima, qualche barlume di considerazione, di maggiore rispetto per la libertà religiosa, lo scorso anno lo si è intravisto, ovviamente il riferimento è anzitutto alla sentenza della Corte suprema riguardante la liberazione di Asia Bibi ma allo stesso tempo – detto francamente - forse qualcuno ha pensato che liberare Asia Bibi fosse sufficiente per dire al mondo che in Pakistan la democrazia dominava e vigeva per qualsivoglia suo cittadino. Purtroppo non è così! Non è cosi - per essere molto concreti - con riferimento agli atroci soprusi che subiscono le donne che appartengono a queste comunità più piccole, per non chiamarle minoranze, parlo delle donne cristiane, parlo delle donne induiste. Noi da mesi ci occupiamo del caso di una ragazza di 14 anni, Huma Younus, cristiana rapita costretta con la forza a sposare uno dei suoi rapitori e dinanzi al quale rapimento, dinanzi alla quale violenza purtroppo le autorità competenti – cioè la giustizia pakistana - non riescono non a fare fino in fondo quello che andrebbe fatto male, vale a dire arrestare il persecutore, il rapitore, e restituire la bambina ai propri genitori. Questo perché purtroppo il sistema ancora protegge questo tipo di reati orribili, odiosi. Tra le altre cose Huma soffre in questo momento ulteriormente, perché a causa del lockdown per il Covid19 tutte le udienze sono rinviate oramai da due mesi di 15 giorni in 15 giorni, quindi non possiamo neanche intravedere una possibile speranza. E allora chiediamo al Pakistan, una volta per tutte, di liberarsi di queste incrostazioni fanatiche, di non lasciarsi dominare dall'influenza di gruppi estremisti e di aprirsi realmente al rispetto della libertà religiosa per ciascuno.
C'è da augurarsi però che riprenda vita un dibattito internazionale sugli abusi dei diritti umani, un dibattito efficace..
R. - C'è da augurarsi che prenda vita un dibattito reale sugli abusi ai danni di chi solo perché appartiene ad un'altra fede è costretto a vivere nel modo cui abbiamo accennato. Dico ‘prenda vita’, perché con altrettanta schiettezza non mi sembra che sia stato mai affrontato fino in fondo e abbia mai avuto lo spessore che merita in questi mesi e in questi anni. Liberta di coscienza, libertà di pensiero, libertà religiosa sono tre libertà declinate dall'articolo 18 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e delle tre, la libertà religiosa è da troppo tempo oramai confinata tra le libertà di serie B. Il dibattito deve innanzitutto riportare la libertà di fede in serie A, se mi è permessa la metafora, perché una volta riportata in Serie A ci sia una reale presa di coscienza della gravità delle persecuzioni che vengono perpetrate appunto per chi, per esempio in Pakistan, non rinuncia all'idea di appartenere a Gesù.
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