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Economia: la pandemia ha aumentato gli squilibri sociali

Crisi sanitaria globale e debito: da un lato c’è chi non si è accorto delle conseguenze economiche del lockdown, mentre altri si sono trovati improvvisamente senza reddito. Il parere dell'economista Benedetto Gui

Francesca Sabatinelli - Città del Vaticano

In questi mesi di pandemia molti aspetti della vita sono stati messi davanti all’economia, la salute delle popolazioni, la tutela del lavoro, solo laddove però è stato possibile. Oggi quale è lo scenario che ne scaturisce? Ne abbiamo parlato con il professor Benedetto Gui, Ordinario di Economia Civile e di Comunione all’Istituto universitario Sophia di Loppiano:

Ascolta l'intervista a Benedetto Gui

R. - La pandemia vuol dire doversi fermare nella produzione per un periodo, avere meno beni da consumare e dover fare dei sacrifici. Il problema è che il blocco della pandemia aumenta gli squilibri, perché c'è qualcuno che nemmeno se ne accorge in termini economici, nel senso che continua a ricevere i redditi che riceveva prima, mentre un pezzo del sistema, della cittadinanza sia italiana che mondiale, si trova invece privata, e bruscamente, del suo reddito proprio per poter garantire l'interruzione delle attività. Questo è il grande problema. Poi naturalmente nasce anche un problema del debito. Tipicamente infatti in queste situazioni si dà fondo agli eventuali risparmi del passato o ci si indebita, per garantire la continuità della vita e del tenore di vita, sperando di pagare in futuro. Si accentuano quindi gli squilibri.                      

Fare debito era il passaggio più logico?

R. - Fare debito sarebbe una cosa positiva nei momenti di emergenza. Il problema, parlo da italiano in un Paese con un debito pubblico eccessivo, è che noi abbiamo fatto debito non nei momenti di emergenza, ma nei momenti “normali”. Quindi, quando arriviamo al momento dell’emergenza in cui ci sarebbe bisogno di dar fondo a questa potenzialità di indebitamento, noi l'abbiamo già “spesa” quasi tutta. Adesso potremo indebitarci ancora perché siamo sostenuti - e non ce ne rendiamo conto quanto - dall'Unione Europea.

Questo per l'Italia. Ma sia il debito sia anche il forte sostegno dell'Unione Europea riguarda anche quei Paesi che vengono ritenuti più virtuosi…

R. - Paesi come la Germania o l’Olanda erano in grado di indebitarsi in questo momento di emergenza senza destabilizzare la loro situazione, perché un po' di debito si può fare. È solo quando uno ne ha già troppo che indebitarsi diventa problematico. Oggi noi siamo sostenuti dalla Banca Centrale Europea e per la prospettiva futura si sta immaginando che ci sia un indebitamento collettivo di tutta l'Unione, dei Paesi instabili come noi, ma anche di quelli solidi, e da questo prendere denaro per aiutare soprattutto i Paesi più deboli finanziariamente, come l'Italia e la Spagna per esempio.

Questo discorso, invece come si può applicare a quelle economie emergenti che non hanno paracaduti nei confronti del debito?

R. -  L'osservazione è proprio questa. La nostra situazione di italiani dovrebbe farci capire quale può essere la situazione di Paesi debolissimi.  Penso a Paesi dell’Africa, come ad esempio il Congo, che ha difficoltà a restare affidabile anche nei mercati finanziari. Un altro paese è l'Argentina che ci assomiglia moltissimo. Se noi non ci trovassimo qui attaccati come un'appendice dell'Europa probabilmente la nostra storia economica assomiglierebbe molto di più a quella dell'Argentina.  Questo ci fa capire quanto grave e pericolosa è la situazione dei paesi che partono già da un basso reddito e da un sistema sanitario più debole. I Paesi più deboli non hanno margini di riserva nell’affrontare tutto questo.

Chi dovrebbe intervenire e come?

R. - Qui ancora una volta aiuta fare un paragone tra l’Italia e i Paesi più forti dell'Europa e si può riportare questo paragone al nord del mondo, tutti i Paesi ad alto reddito, rispetto ai Paesi a basso reddito. Nel breve periodo ci sono forme come il congelamento del pagamento dei debiti dei paesi più deboli e questa è una decisione che è stata presa al G20 e che potrebbe concretizzarsi.

Quanto di tutto ciò che abbiamo detto però poi alla fine rischia di infondere molta sfiducia nei cittadini?

R. - Quello che i cittadini sentono di più è che oggi è crollato il reddito dei piccoli imprenditori - artigiani, ristoratori, baristi - e anche delle imprese più grandi, ma forse sono le piccole quelle più vulnerabili, e di tutti quelli che ci lavoravano. Questo è chiarissimo. E il timore è che non ci sia la forza da parte della collettività nazionale per sostenerli fino ad una nuova ripresa. A livello europeo sono i Paesi più deboli che sono in questa situazione, mentre in Germania c’è una sensazione da parte del pubblico, che poi corrisponde a una realtà, di una fragilità molto minore. L’idea cioè è che lo Stato tedesco ce la farà. A livello mondiale credo che oggi la sensazione è che questi paesi fragili, politicamente e economicamente, siamo sempre meno in grado di immaginare un futuro, soprattutto per i giovani.

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19 maggio 2020, 16:50