Ue, la Commissione presenta il Recovery plan
Elvira Ragosta – Città del Vaticano
Nel piano che il presidente della Commissione Ursula von der Leyen presenta oggi la maggior parte dei fondi sarà disponibile a partire dal prossimo anno, ma l’obiettivo a breve termine è anticipare al 2020 parte del Recovery fund, un mix di sovvenzioni a fondo perduto e prestiti e che dovrebbe aggirarsi in totale sui 750 miliardi di euro.
La proposta dovrà poi essere approvata all'unanimità dai 27 Stati membri e ottenere il via libera del Parlamento europeo. L’orizzonte è il vertice Ue del 18 giugno. "Se il Recovery Plan non sarà all'altezza delle ambizioni, il Parlamento non lo sosterrà". Così in un’intervista, il presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, che chiede un progetto "che rafforzi le politiche di sviluppo, faciliti il Green Deal e la digitalizzazione, sostenga le economie in crisi. Perché, altrimenti, difficilmente il mercato si risolleverà".
A far registrare una prima posizione circa la proposta della Commissione europea per la ripresa economica è l’Olanda, per la quale le posizioni restano “lontane”. Si tratta di un dossier che “richiederebbe unanimità” per i negoziati, precisano gli olandesi, “ci vorrà tempo”, resta quindi “difficile pensare che questa proposta potrà essere il risultato finale di quei negoziati".
"Come anticipato, sarà usato il Bilancio Ue come base – dice Francesco Carlà, giornalista esperto di questioni economiche e finanziare e presidente di Finanza world - probabilmente dovrà essere un po’ aumentato lo sforzo di ogni singolo Paese per gli impegni che i vari Stati membri possono prendere rispetto al bilancio”.
Il dibattito sul Recovery fund
Il pacchetto del Recovery Fund, secondo l’agenzia tedesca Dpa, ammonterebbe a 750 miliardi, di cui 500 miliardi sarebbero versati come aiuti e 250 come prestiti. Il fondo, spiega Carlà, sarà distribuito attraverso vari canali, ricordando il dibattito in corso sulle proporzioni tra prestiti e sovvenzioni. ”Come sappiamo – aggiunge l’esperto - i Paesi così detti ‘frugali’ vorrebbero che fossero soprattutto prestiti, condizionati a riforme sostanziali, mentre altri Paesi, non solo quelli più colpiti, anche Francia e Germania, vorrebbero che fossero soprattutto contributi a fondo perduto. Qui c’è una vera e propria questione strategica. L’Europa che abbiamo conosciuto fino a qui dal punto di vista finanziario, prendeva in considerazione solo l’ipotesi di prestiti collegati a condizioni molto stringenti, che abbiamo purtroppo conosciuto nel caso greco. Quindi, i Paesi in difficoltà ora sono sospettosi nell’accettare questo tipo di aiuti finanziari. La spinta è appunto perché si consideri la pandemia un fatto straordinario, non collegato alle migliori o peggiori gestioni finanziarie dei vari Paesi, ma all’impatto che la pandemia ha avuto su di essi”.
Il punto sul Meccanismo europeo di stabilità
Resta aperto il dibattito politico anche sul Meccanismo europeo di stabilità. “E' probabile che il Mes diventi un altro di questi programmi, al fianco del Recovery fund – commenta Carlà - e che diventi quindi ancora più accessibile alle economie in difficoltà e con meno condizioni. In più, potrebbe anche aumentare di valore, rispetto ai circa 37 miliardi di cui si è parlato molto, perché c’è la possibilità che vada oltre il 2% del Pil del Paese che ne fa richiesta. Inoltre, può esserci anche un altro modo di disinnescare le potenzialità negative del Mes, ed è quella che contemporaneamente molti Paesi ne facciano richiesta, non solo Italia e Spagna che sono in maggiori difficoltà, ma anche altri Paesi”.
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