Atenei italiani in prima linea per l’accoglienza dei rifugiati
Francesca Sabatinelli e Stefano Leszczynski – Città del Vaticano
A un anno dall’avvio del progetto pilota dei “corridoi universitari” dell’Unhcr, si è esteso da due a 11 il numero di università italiane ( Università dell’Aquila, Università di Bologna, Università degli Studi di Cagliari, Università di Firenze, Università Statale di Milano, Università di Padova, Università degli Studi di Perugia, Università di Pisa, Università di Sassari, Università Iuav di Venezia, e Luiss Libera Università Internazionale degli Studi Sociali Guido Carli ) che, assieme ad Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, Ministero degli esteri italiano, Caritas Italiana, Diaconia valdese e Gandhi charity, offrono a studenti rifugiati la possibilità di continuare i loro studi in Italia. Sono venti i giovani, provenienti dall’Etiopia, che avranno la possibilità di continuare il loro percorso accademico, grazie a borse di studio che prevedono la frequenza di un programma di laurea magistrale di due anni. Il valore di questo progetto è duplice, precisa Chiara Cardoletti, Rappresentante dell’UNHCR per l’Italia, la Santa Sede e San Marino, “da una parte garantisce ai rifugiati di arrivare in maniera sicura in Italia, dall’altra riaccende la speranza in giovani costretti a interrompere il proprio percorso formativo perché perseguitati o in fuga da zone di guerra”. Entro i prossimi tre anni, dunque, l’Unhcr ritiene di raggiungere “un tasso di iscrizione del 15% a programmi di istruzione superiore per i rifugiati in Paesi d’accoglienza e Paesi terzi, anche attraverso l’ampliamento di vie di accesso sicure che tengano in considerazione i bisogni specifici e le legittime aspirazioni dei rifugiati di costruire il loro futuro in dignità”.
Solo il 3% dei rifugiati accede all’istruzione superiore
“Nel mondo ancora troppi rifugiati non hanno accesso all'istruzione media e superiore – spiega a Vatican News Andrea Pecoraro dell’Unhcr – solo il 3% dei rifugiati e dei migranti forzati riesce ad accedere alle forme superiori di istruzione, contro il 37% della media globale, quindi è necessario sviluppare percorsi di questo tipo che consentano ai rifugiati misure e forme di ingresso legale e sicuro da Paesi di primo asilo a Paesi di secondo asilo. Con questo progetto ovviamente abbiamo anche l’obiettivo di garantire loro l’accesso alle istituzioni accademiche particolarmente qualificate, e siamo davvero molto grati alle università per la disponibilità e per lo straordinario impegno che hanno dato nel progetto di quest’anno”.
L’Etiopia come primo Paese del progetto che presto si espanderà
Sin dal 2019, anno dell’avvio del progetto, si è deciso di concentrarsi sull’Etiopia per il considerevole numero di rifugiati che accoglie, e anche per le politiche particolarmente favorevoli che Addis Abeba ha adottato nei confronti dei rifugiati. Si parla di forme agevolate di accesso all’istruzione universitaria, della possibilità di rilasciare documenti qualora i rifugiati abbiano trovato borse di studio all'estero, quindi, prosegue Pecoraro, “ci sono state una serie di concause che ci hanno portato a concentrarci appunto sull’Etiopia come Paese di partenza. Quest’anno ci sarebbe piaciuto muoverci anche su altri territori, in particolare guardando al Medioriente, ma trattandosi ancora della seconda edizione di un progetto pilota, abbiamo deciso di consolidare la nostra permanenza, la nostra efficacia, in Etiopia per poi eventualmente, nel futuro, espanderci su altri territori”.
Dall’Eritrea all’università Luiss di Roma per aiutare il suo Paese
Bereket Gebremichael Kidanemariam è uno studente eritreo con lo status di rifugiato in Etiopia, dove è arrivato nel 2016 dopo una difficile infanzia trascorsa ad Asmara. “Non volevo più vivere nella paura” confessa, ricordando anche la necessità di dover andare via per poter aiutare la famiglia, soprattutto sua madre. Bereket ha ricevuto una borsa di studio dalla Luiss di Roma, dove frequenta il corso di Corporate Finance in lingua inglese. L’inizio non è stato facile, ma poi è arrivata la capacità di ambientarsi e oggi, dopo un anno, i suoi colleghi sono più compagni di vita che di studi, come racconta lui stesso. “Accedere ad un progetto di questo tipo cambia veramente la vita – racconta a Vatican News – come rifugiato è difficile vivere senza alcun sostegno, questo progetto è una occasione di speranza. Sono sicuro che la mia vita migliorerà e sarà di ispirazione anche per altri rifugiati”. Ogni giorno della sua nuova vita romana, Bereket ringrazia coloro che hanno permesso tutto questo, così come, sorvolando il deserto e il mare, sull’aereo che dall’Etiopia lo avrebbe portato a Roma, un anno fa rivolse il suo pensiero a tutti coloro che perdono la vita nel tentativo di attraversare il Sahara e il Mediteraneo. Bereket vuole essere un “protagonista del cambiamento” nel suo Paese, quando la situazione sarà migliorata. “Quello che vorrei fare, grazie ai miei studi, è contribuire allo sviluppo del sistema degli affari nel mio Paese, che è al suo punto più basso”.
L’inclusione sociale tra i principali obiettivi del progetto
Obiettivo del progetto dei ‘corridoi universitari’ è quindi dare la possibilità a questi giovani di proseguire gli studi, ma è anche quello di curare, in qualche modo, un percorso di integrazione e di inclusione sul territorio, coinvolgendo anche famiglie di volontari che possano accogliere i ragazzi e farli, in qualche modo, sentire a casa. “L’idea – prosegue Pecoraro – è che al termine dei due anni gli studenti possano fare una scelta consapevole circa il loro futuro, e cioè poter continuare la permanenza in Italia, con un permesso di soggiorno di altro titolo, ad esempio per lavoro, oppure ancora proseguendo il percorso accademico con un dottorato di ricerca, oppure tornare non tanto nel Paese di origine, quanto in quello di primo asilo. L’idea resta quella di accompagnarli il più possibile, con un approccio individuale, in questo loro percorso di inclusione sociale in Italia”.
Si lavori per una migrazione legale e sicura nel rispetto dei diritti umani
Non si può nascondere che in molte zone tutto questo non sarà mai realizzabile, la situazione nei Paesi di prima accoglienza spesso è disastrosa, proprio per questo – è convinzione dell’Unhcr – bisogna lavorare su più livelli. Attualmente il numero di rifugiati e di migranti forzati è arrivato ad una soglia inimmaginabile, sono 70 milioni le persone costrette a lasciare le loro nazioni di origine e a riparare, nel 90% dei casi, in Paesi limitrofi, spesso in via di sviluppo e che sopportano davvero un peso molto significativo. “Dobbiamo lavorare su più fronti – è quindi la conclusione di Pecoraro – occorre aumentare ed incrementare le possibilità di trasferimento legale e sicuro dei rifugiati attraverso corridoi universitari, corridoi umanitari, e quant’altro, e poi lavorando anche con i Paesi di primo asilo per sviluppare e per incrementare sempre di più spazi di asilo anche in altri contesti. La buona volontà degli attori e interlocutori necessari farà sempre sì che una migrazione legale e sicura, che ponga al primo posto il rispetto dei diritti umani dei rifugiati, sia qualcosa di assolutamente gestibile”.
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