Tre epidemie in Yemen, tra fosse comuni e ospedali chiusi
Gabriella Ceraso - Città del Vaticano
Arriva dalla Cnn l'ultimo reportage sulla disastrosa situzione nello Yemen, dove il tasso di mortalità per coronavirus, nella sola capitale Aden, ha superato quello del momento peggiore della guerra. Si parla di 950 morti nelle prime due settimane di maggio quasi il quadruplo dei 251 registrati in tutto il mese di marzo, secondo un rapporto del Ministero della Salute.
E poi i cimiteri, che aumentano di dimensioni e si avvicinano sempre più agli edifici residenziali, per non parlare delle fosse comuni scavate in gran fretta e degli ospedali dove i medici non vengono pagati da ben tre anni e dove già prima della pandemia mancavano antibiotici e farmaci di base. Oggi purtroppo oltre al Covid - 19, lo Yemen deve fare i conti con un focolaio di virus trasmesso dalle zanzare, noto come virus Chikungunya, e con oltre 100.000 casi noti di colera in tutta la nazione.
Un Paese spaccato in cui non c'è pace
"Si è aspettato troppo per intervenire", spiega ai nostri microfoni Silvia Laura Battaglia free lance e documentarista esperta di Yemen, e le motivazioni sono legate alle condizioni generali del Paese spaccato tra i separatisti del sud, dove c'è una totale mancanza di governance, e il nord dei ribelli Huthi che pur di continuare a combattere non hanno avuto interesse nell'informare la popolazione sulla gravità del virus che stava diffondendosi.
A Aden, come nel sud, si procede a scavare fosse comuni, conferma la Battaglia, senza alcuna certezza che le persone morte con febbre siano state colpite da Covid- 19 per l'impossibilità di fare diagnosi. Nel nord inoltre molte fabbriche tessili si sono trasformate in centri di produzione di mascherine, ma i quantitativi sono sempre infinitamente inferiori dei bisogni. Resta poi il problema più grande, cioè la carenza negli ospedali di ogni tipo di macchinari specifici per le difficoltà respiratorie.
Ospedali con letti di cartone
Non ci sono mai stati posti letto sufficienti nello Yemen - ci racconta Laura Battaglia - quindi alcune città hanno riabilitato vecchie strutture risistemate dal punto di vista edilizio, ma luoghi di fortuna non adatti, e allora quando eccede il numero di accessi, i letti si costruiscono di cartone, come accade in India. Lo Yemen ha adottato la stessa tecnica".
Nessuna tregua è rispettata
In tutto questo - racconta ancora Silvia Laura Battaglia - le parti in guerra non si sono mai fermate. "Chiunque - sottolinea - è in guerra approfitta del coronavirus per avanzare territorialmente e fisicamente. Innazitutto ogni tipo di tregua proposta, immaginata e riproposta dalle Nazioni Unite, non è stata mai rispettata nè dal governo centrale del tutto inesistente ma supportato dalla Lega araba a guida saudita, nè dai cosiddetti ribelli del nord gli Huthi sostenuti dall'Iran. A loro si sono poi aggiuni i separatisti del sud che hanno messo all' angolo il governo centrale di Aden. La loro azione militare e di governance è stata resa possibile proprio dalla mancanza di controllo di questi mesi da parte di un governo accusato di essere incapace di gestire la pandemia e le alluvioni che si sono abbattute al sud. Il nord infine non ha accettato la tregua della Lega araba perchè le truppe ribelli erano già avanzate e il loro obiettivo era conquistare la roccaforte saudita del governatorato di Marib. Per tutti questi interessi nessuno ha diffuso adeguatemente la notizia del Coronavirus finchè la situazione non si è fatta incontenibile".
"L'obiettivo di tutti gli attori - rimarca la Battaglia - è dunque non chiudere la guerra": ognuno vorrebbe prevalere nonostante le difficoltà e al centro resta la popolazione isolata e schiacciata da una crisi economica, sociale e sanitaria. "Questo è un ostacolo insormontabile gente dimenticata e politica all'empasse".
Le donazioni non raggiungono la popolazione
L'ultima opportunità in ordine di tempo, la conferenza dei donatori del 2 giugno scorso, non è andata bene. Silvia Laura Battaglia, che l'ha seguita, afferma che la difficoltà incontrata è legata sostanzialmente a due fronti: "Alcuni donatori come il Kuwait, vogliono continuare a sostenere ancora le parti in guerra e dunque inviare aiuti significherebbe poter aiutare anche le parti avversarie, dunque si sono ritirati; altri Paesi donatori come quelli europei, hanno rinunciato invece perchè i fondi stanziati non hanno alcuna certezza di giungere a destinazione, sequestrati dalle milizie che richiedono il 20% sulle cifre delle Nazioni Unite. Dunque anche questa strada sembra non percorribile".
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