Il vertice del G5 Sahel con Paesi Ue e Onu per sconfiggere lo jihadismo
Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano
Non è un’agenda semplice quella che oggi è sul tavolo del G5 Sahel, e cioè Burkina Faso, Chad, Mali, Mauritania e Niger, e al quale siederanno virtualmente Macron, Merkel e Conte e, fisicamente, Sanchez e Guterres. Il punto principale ruota attorno alla minaccia jihadista, talmente estesa nell’area da far diventare il Sahel una delle principali preoccupazioni della comunità internazionale. Si provvederà, tra i vari punti, al lancio della forza europea Takuba, task force del Sahel, istituita da Francia e altri 13 Paesi europei, in coordinamento con gli eserciti del Mali e del Niger per la repressione, appunto, dei gruppi armati nella regione.
Fondamentalismo islamico e migrazioni, le sfide del Sahel
Il Sahel, spiega l’africanista Enrico Casale, redattore della rivista ‘Africa’ dei Padri Bianchi, “negli ultimi anni, è diventata una regione sempre più strategica, per l’Africa ma soprattutto per l'Europa, sotto due punti di vista: sotto il profilo della sicurezza, perché nel Sahel operano tante sigle del fondamentalismo islamico, poi perché è dal Sahel che passano i principali flussi migratori verso nord . Ecco che l’attenzione su questa area deve essere massima da parte dell'Europa, propri perché è in questa area che si concentrano i due grossi problemi per il continente”.
I deboli eserciti saheliani rallentano la lotta alla Jihad
Sei mesi fa, a gennaio, il presidente francese Macron invitava i leader dei Paesi del Sahel, a confrontarsi al vertice di Pau, fu allora che si stabilì il rafforzamento della lotta anti-jihadista attraverso, tra l’altro, l’addestramento degli eserciti saheliani. “Combattere il jihadismo non è semplice – spiega ancora Casale – perché utilizza le tecniche della guerriglia quindi, per un esercito come quello francese, che già da diversi anni è schierato per contrastare questo fenomeno, non è facile farvi fronte. Dall’altra parte, le forze dei Paesi del Sahel non sono tali da riuscire a gestire il fenomeno”. La task force stabilita a Pau, dovrebbe diventare operativa all'inizio del 2021 e si porrà al fianco degli eserciti regionali nella lotta ai gruppi armati, andando ad integrare l’azione della operazione francese Barkhane e della forza congiunta regionale del G5 Sahel. Ma nonostante gli accordi per la formazione delle forze armate locali, il processo è ancora lungo. Non si può dire che la guerra sia persa, precisa Casale, per il quale si tratta di un conflitto ancora lungo, che dovrà passare certamente attraverso la formazione delle forze armate locali, ma anche “attraverso una presenza stabile, almeno per un certo periodo di tempo, di forze internazionali, tra le quali la Francia e, molto probabilmente, anche l'Italia”.
L'Onu ha votato il rinnovo della missione dei caschi blu in Mali
Ieri sera il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha votato all’unanimità la proroga, fino al 30 giugno del 2021, della missione dei caschi blu in Mali, Paese agitato dalle forti proteste di massa contro il presidente Keita e soprattutto dalla violenza jihadista di gruppi legati ad Al-Qaeda e al sedicente stato islamico, notevolmente aumentati. “Teniamo presente che il Mali – prosegue Casale - è un Paese enorme e, soprattutto il nord, è difficilmente gestibile dal punto di vista della sicurezza, perché è un vastissimo deserto in cui le condizioni di vita sono estreme, quindi è molto difficile”. A preoccupare, oggi, oltre al Mali anche il Burkina Faso, Paese finora “pacifico sebbene poverissimo”, ma dove la situazione è peggiorata molto. E poi ancora il Niger, “dove, tra l’altro, passano la gran parte dei flussi migratori diretti verso il nord. Quindi, è una situazione particolarmente complessa, in cui ciascun Paese gioca un ruolo delicatissimo nel riuscire da un a parte a mantenere equilibri democratici e dall’altro a contrastare queste minacce fondamentaliste".
In quattro anni gli attacchi nel Sahel sono quintuplicati
In Burkina Faso, Mali e Niger, dal 2016, gli attacchi sono aumentati di cinque volte, nel 2019 sono morte oltre 4 mila persone. Tutta la regione è diventata una delle aree più insicure al mondo. “In questa zona – prosegue Casale – il jihadismo si scontra con strutture statali molto fragili, quindi è chiaro che ha più facilità a penetrare, inoltre si mescola a contrasti etnici atavici , per esempio quello tra pastori e agricoltori, e si mescola anche con i traffici illeciti, penso soprattutto alla droga , alla cocaina, che sbarca sulle coste occidentali dell'Africa per risalire attraverso il sahel e arrivare sulle nostre coste”. Ecco quindi la somma di tutta una “serie di fattori” che, insieme, favoriscono il jihadismo che, seppur non implicato direttamente nei traffici illeciti, da quegli stessi traffici trae importanti benefici economici, fosse altro per la “complicità con i trafficanti” dovuta anche al fatto che è il jihadismo che controlla gran parte delle rotte.
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