L’OIM si appella agli Stati del Mediterraneo: salvare i migranti
Stefano Leszczynski - Città del Vaticano
“Salvare vite umane rimane la priorità assoluta”. La posizione dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, agenzia collegata all’ONU, è netta: gli stati rivieraschi del Mediterraneo devono rafforzare le operazioni di ricerca e salvataggio in mare, un’operazione che non può essere demandata unicamente agli attori della società civile. L’appello arriva all’indomani del grave naufragio avvenuto al largo delle coste tunisine e costato la vita a 50 migranti, tra i quali numerose donne e bambini. Dalla Libia, dove l’organizzazione internazionale è operativa, giunge notizia di numerose intercettazioni di barche con migranti a bordo e del loro trasferimento a Tripoli. “La Libia non è un porto sicuro”, ha ribadito Federico Soda, l’inviato dell’OIM nel paese nordafricano dove, nonostante una diminuzione dell’intensità dei combattimenti, la presenza di milizie e gruppi criminali rappresenta una situazione di pericolo; e non soltanto per i migranti.
La Libia è fuori controllo
La mancanza di controllo da parte dello Stato in molti ambiti ha generato una situazione di caos e questo lo si può notare anche per quello che riguarda la gestione dell’emergenza Covid, spiega Federico Soda, che sottolinea la completa assenza di garanzie di tutela per i migranti presenti nel paese. I centri di accoglienza e detenzione sotto il controllo delle autorità statali accolgono circa duemila persone, ma neanche all’OIM è concesso sapere quale sia la reale situazione dei migranti nelle mani delle milizie o delle organizzazioni criminali legate ai trafficanti. “Sono luoghi in cui succede di tutto. – sottolinea l’inviato dell’OIM - Sono anni che chiediamo e si trovino delle alternative al modello attuale in Libia. Molte persone sono morte proprio a causa delle condizioni di questi centri.”
I rimpatri volontari, solo quando si può
L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni ha tra i suoi compiti istituzionali anche quello di assistere coloro che vogliano fare volontariamente rientro nei paesi d’origine, un’opzione che spesso non può essere presa in considerazione da chi è fuggito proprio per il permanere delle condizioni di pericolo che hanno determinato la fuga. Negli ultimi tre/quattro anni l’OIM ha aiutato circa 50.000 persone a rientrare nei paesi di origine, ma i programmi di rimpatrio assistito hanno subito un brusco stop per l’emergenza sanitaria globale. “La speranza è che si possano far ripartire questi programmi tra un paio di settimane”, spiega Soda. Una speranza in più per far uscire le persone dall’inferno libico in cui si trovano intrappolate. “Dieci giorni fa c'è stata una sparatoria in una delle strutture in cui si trovano i migranti e tra le circa 200 persone vittime dei trafficanti ne sono morte trenta: 26 bengalesi e 4 migranti di origine subsahariana”.
Appello all’Ue
Di fronte alla tragedia dei migranti intrappolati in Libia la comunità internazionale risponde con lentezza e inefficacia. L’unica preoccupazione delle cancellerie europee sembra essere quella del contenimento degli sbarchi e della prevenzione delle partenze verso l’Europa. “Il problema è che queste persone non ‘partono’ dalla Libia, bensì fuggono dalla guerra, dal caos, dagli abusi”. Di questo stiamo infatti parlando: di una fuga da una situazione pericolosa e insostenibile per chiunque, non di un tentativo di invasione dell’Europa. “Sarà un'estate molto impegnativa - spiega l’inviato dell’OIM – Noi continuiamo a chiedere agli Stati più vicini alla Libia di abbandonare la strada della chiusura dei porti o, peggio ancora, dei respingimenti verso la Libia perché non solo è internazionalmente illegale, ma non è neppure sostenibile. Per quanto riguarda l’ultimo anno, stiamo parlando di un numero complessivo di circa 7.000 migranti che hanno raggiunto l’Italia e Malta dalla Libia. Sono numeri totalmente gestibili dall'Unione Europea e dagli Stati membri.”
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