Nel mondo le trasfusioni sicure restano ancora esclusiva dei ricchi
Francesca Sabatinelli - Città del Vaticano
In ogni goccia c’è una storia, quella della generosità degli italiani e delle italiane che anche nel 2020, a dispetto della pandemia di coronavirus, hanno scelto di non far venire meno il loro contributo alla donazione di sangue. E oggi, come ogni 14 giugno, per volere dell’Oms, nel mondo si celebra il “World Blood Donor Day”, la Giornata mondiale del donatore di sangue, un giorno per ringraziare i donatori, per aumentare la consapevolezza sul bisogno globale di sangue sicuro e, spiega l’Organizzazione mondiale della sanità, per incoraggiare le persone a donare gratuitamente. Una data scelta per ricordare il biologo austriaco Karl Landsteiner, scopritore, nel 1900, dei gruppi sanguigni AB0, presenti nell’uomo. Una ricorrenza che, quest’anno, sempre per volontà dell'Oms, avrebbe dovuto essere ospitata, come manifestazione mondiale, dall’Italia, un appuntamento rimandato al 2021 a causa di Covid-19. Oggi nel mondo l’accesso al sangue sicuro per le trasfusioni resta ancora “un privilegio per i Paesi ricchi”, dichiara l’Oms che lo certifica con cifre tristemente inequivocabili: pur avendo solo il 16% della popolazione, i Paesi ad alto reddito detengono il 42% delle sacche. Sono 79 i Paesi che raccolgono più del 90% del sangue grazie a donazioni gratuite, in altri 56 si ricorre ai parenti o al pagamento. Su 171 Paesi censiti, invece, 55 sono i produttori di medicinali plasmaderivati.
I giovani, grandi protagonisti della donazione per il 2020
L’Italia si dimostra ancora una volta un modello in termini di attività trasfusionale. L’anno passato, secondo i dati raccolti dal Centro Nazionale Sangue, ha visto un numero abbastanza stabile di donatori totali, ma una tendenza al rialzo, a dispetto degli anni precedenti, di quelli tra i 18 ed i 25 anni. “Sono dati che lusingano e confortano – spiega il presidente di Avis, Gianpietro Briola – abbiamo lavorato negli ultimi anni in maniera molto seria, con campagne rivolte ai giovani che li sensibilizzassero alla donazione, che diviene azione di vera solidarietà. I giovani, alla fine, rispondono sempre ai messaggi che noi lanciamo loro, soprattutto se siamo in grado di dimostrare che vivere secondo certi criteri, come quelli del rispetto, dà soddisfazione”.
Autosufficienza e invio di plasmaderivati in Paesi in difficoltà
Secondo i dati del Cns, i donatori totali sono stati 1.683.470, con una curiosità a livello regionale: il Friuli Venezia Giulia si conferma come il territorio con il maggior numero di donatori totali in relazione alla popolazione, seguito da Molise e Sardegna. Sono aumentati i pazienti trasfusi e le trasfusioni sono state circa 3 milioni. Per il sangue, anche nel 2019, è stata garantita l’autosufficienza totale che, per i medicinali derivati dal plasma, a livello nazionale, è del 70% circa. È proseguito, inoltre, anche nel 2019 il programma di donazione di medicinali plasmaderivati in eccedenza all’estero. Oltre 40 i milioni di unità di farmaci prodotti e inviati dal 2013 ad oggi a Paesi come Afghanistan, Armenia, Albania, India, Palestina ed El Salvador.
Donare sangue è testimoniare il valore della solidarietà
“Quest'anno come sappiamo – prosegue Briola – è stato un anno molto difficile. Sono circa 1800 le persone che, quotidianamente, hanno bisogno della nostra donazione dei globuli rossi, oltre a tutti gli altri pazienti che ogni giorno ricevono i farmaci plasmaderivati. Il nostro obiettivo resta però quello di continuare a fare promozione, vivere e testimoniare i valori di solidarietà all'interno della nostra comunità, affinché ogni gesto che facciamo nei confronti degli altri, ogni gesto di prossimità, diventi un motivo di speranza per rilanciare il Paese ma, soprattutto, per quella che Paolo VI chiamava la promozione umana e Dio sa quanto ce n'è bisogno in questi anni per ricostruire un tessuto sociale di grande convivenza comunitaria”.
Il coronavirus non ha piegato la volontà dei donatori
L’edizione di quest’anno, quindi, è un'occasione per ringraziare tutti i donatori che, anche nei momenti difficili come quelli dettati dalla pandemia di coronavirus, non hanno fatto mancare il loro prezioso apporto. Allo smarrimento iniziale, dovuto sia al dubbio che il coronavirus si potesse trasmettere attraverso la donazione, sia al timore di avvicinarsi alle strutture ospedaliere, soprattutto nel nord Italia, è invece seguita, spiega ancora il presidente dell’Avis, “un’ottima risposta grazie alla garanzia, tra l’altro, del distanziamento sociale, della donazione programmata. È stata così assicurata l’assenza di rischi per i donatori e abbiamo avuto un'ottima risposta, tanto che siamo riusciti a riprendere le attività ospedaliere del post coronavirus senza avere carenze significative di sangue. I donatori hanno risposto immediatamente, con la sensibilità e la responsabilità che li caratterizzano, alle chiamate e questo ci ha consentito di mantenere i nostri dati di donazione molto elevati e di garantire ad ogni malato i prodotti salvavita di cui aveva bisogno”.
Ogni donatore è una storia, spina dorsale del Paese
L’Italia resta per tutto il mondo un modello perché “è un Paese dove la donazione è solo etica, generosa e volontaria – aggiunge Briola – dove non si paga una goccia di plasma, né una goccia di sangue, è un modello virtuoso che rispetta e rende ragione alla dedizione, alla generosità di ogni singola persona che viene a donare il proprio sangue, perché garantisce che il suo prodotto, che è un prodotto etico, frutto di una donazione generosa, venga utilizzato al meglio e con tutti i criteri di rispetto, soprattutto di rispetto umano”. E nasce quindi proprio da qui il titolo della campagna per la donazione sangue 2020, ‘In ogni goccia c’è una storia. La nostra’, per rispetto, perché ogni donatore è una storia. “Tutti questi donatori – conclude Briola – così come queste gocce, messe una vicina all'altra, creano la spina dorsale del Paese e del vivere in comunità e quindi, ogni goccia, come diceva Madre Teresa, crea l’oceano che si punta a conservare affinché sia sempre pieno e disponibile a tutti, perché così si riusciranno a garantire le persone dal punto di vista sanitario, ma soprattutto, si riuscirà a garantire la convivenza sociale e comunitaria”.
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