Sudan, quasi 2 miliardi di aiuti per ricostruire il Paese
Andrea De Angelis – Città del Vaticano
Il tentativo è facilmente comprensibile: evitare che il Paese paghi un prezzo altissimo a livello socio-economico in un momento in cui è impegnato nella ricostruzione democratica. Il Sudan, 40 milioni di abitanti con un Pil pro capite inferiore ai duemila dollari, si appresta dunque a ricevere la cifra di 1,8 miliardi di dollari di aiuti della comunità internazionale. Il primo ministro sudanese, Abdalla Hamdok, ha parlato di un risultato "senza precedenti", che pone "solide basi per andare avanti".
La videoconferenza
Quaranta Paesi, uniti giovedì 25 giugno in videoconferenza sotto l'egida delle Nazioni Unite e dell'Unione Europea, hanno concordato dunque questa cifra vicina ai due miliardi di dollari, di cui mezzo miliardo sarà destinato ad un programma di assistenza alle famiglie sudanesi. "Oggi si apre un nuovo capitolo in collaborazione tra il Sudan e la comunità internazionale per la sua ricostruzione", ha dichiarato il ministro degli Esteri tedesco Heiko Maas. La gran parte dei fondi serviranno per fronteggiare l’emergenza coronavirus, che nello Stato africano fa registrare già 9mila casi ed almeno 550 morti. Tra le principali criticità per la popolazione c’è sicuramente la carenza di medicinali, causata da un drastico calo delle importazioni legate alla crisi economica.
"Gli aiuti sono per la transizione"
"Quando pensiamo a questi aiuti dobbiamo ragionare sul periodo di transizione che il Sudan sta vivendo, con un Governo ibrido - dunque civile e militare - che dovrà condurre Khartoum alle elezioni nel 2022". Questa la premessa di Lorenzo Marinone, analista del Cesi esperto di Nord Africa, nel commentare i quasi due miliardi di dollari che la comunità internazionale ha impegnato per il Sudan. "Sono soldi promessi, l'intento è quello di costruire un modello dove la transizione democratica abbia come protagonista la parte civile, anziché quella militare. La seconda opzione è invece caldeggiata dai Paesi del Golfo, dunque gli aiuti stabiliti ieri dalla comunità internazionale vanno in una direzione ben precisa", spiega Marinone.
Secondo l'analista del Cesi, in sostanza, si vuole dare la possibilità alla parte civile del Governo di mostrare alla popolazione i progressi possibili, di iniziare quelle riforme necessarie per far sì che la transizione porti dei frutti. "Non era affatto scontato arrivare a questo Governo ibrido - aggiunge -, così come non lo è il successo del modello voluto, tra gli altri, dall'Unione Europea, dove in futuro lo spazio per i militari al potere sia ridotto al minimo". Ma la crisi economica del Sudan, con un crollo di otto punti percentuali del Pil legato all'emergenza coronavirus, può essere la crisi di una intera regione? "Ora è presto per fare simili previsioni, di certo uno choc ci sarà, è inevitabile. La crisi, però, avrà effetti più importanti soprattutto sui Paesi, come il Sudan, già in serie difficoltà".
La crisi economica
Lo scorso anno il Sudan è andato in recessione, con un calo pari ad oltre due punti percentuali del Pil. La pandemia, però, fa prevedere un’ulteriore, drammatica contrazione dell’economia: secondo il Fondo monetario internazionale, nel 2020 si potrebbe registrare un -8%. Un dato, questo, che rischia di mettere in ginocchio uno Stato dove le riserve di valuta estera sono molte basse, mentre il debito pubblico si aggira intorno ai 70 miliardi di dollari. Inoltre la variazione dei prezzi del petrolio contribuisce ad aggravare una crisi che, ad oltre un anno dalla caduta del presidente Omar el-Bechir (che ha guidato il Sudan per trent’anni, a partire dal 1989), è anche, inevitabilmente politica.
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui