I Tropici: ecosistema prezioso per tutta la terra
Marina Tomarro - Città del Vaticano
Il deserto del Sahara, il deserto di Atacama, e l’Outback Australiano. Ma anche le regioni tropicali della tundra alpina, il Mauna Kea, il monte Kilimanjaro, la Cordigliera delle Ande, il Cile e l ‘Argentina. Sono queste alcune delle zone comprese tra il tropico del Cancro e il tropico del Capricorno, chiamate comunemente Tropici. Quindi non solo mare cristallino e spiagge paradisiache, come si potrebbe immaginare. Un’ecosistema complicato e nello stesso tempo estremamente delicato, che deve affrontare diverse sfide come i cambiamenti climatici, la deforestazione, il disboscamento, l'urbanizzazione e i cambiamenti demografici.
Il fattore umano
I Tropici possiedono il 54% delle risorse idriche rinnovabili del mondo, ma quasi la metà della loro popolazione è considerata vulnerabile allo stress idrico. Queste zone, negli ultimi anni, hanno cercato di conseguire importanti progressi, ma ancora molte restano le sfide per raggiungere uno sviluppo sostenibile. Infatti ancora troppo alti restano i livelli di povertà e malnutrizione, e la percentuale della popolazione urbana che vive in condizioni abitative di fortuna è più alta nei Tropici rispetto al resto del mondo. Inoltre si prevede che, entro il 2050, la regione ospiterà la maggior parte della popolazione mondiale.
Un equilibrio potente ma molto fragile
“Chi vive in queste zone – spiega Andrea Masullo direttore scientifico di Greenaccord - spesso si trova in condizioni veramente precarie. Lo scorso ottobre al Sinodo sull’Amazzonia, abbiamo potuto conoscere alcune di queste realtà, e lo stesso discorso potremmo estenderlo per tutte le aree tropicali. Si tratta di equilibri naturali delicatissimi in cui le popolazioni indigene si sono perfettamente adattate, ne hanno una perfetta conoscenza, e vivono tranquillamente con questa natura, che ha un equilibrio potente ma allo stesso tempo fragile.” Ma spesso l’uomo distrugge questo ecosistema, per motivi economici e di mercato. “La foresta ad esempio – continua Masullo – non è interessante solo per il legname, ma anche per le risorse che sono nel sottosuolo. Spesso si comincia col distruggere la foresta per poter praticare per pochi anni un’agricoltura intensiva che esclude le popolazioni residenti. Pensiamo per esempio al danno enorme che è stato fatto in tante aree tropicali sostituendo la foresta con le coltivazioni di palma, perché l’olio che se ne ricava serve sia per produrre biocombustibili, sia per essere utilizzato in altri ambiti come la cosmetica. Dovremmo capire che questo modello di sviluppo minaccia tutta la vita sul nostro pianeta a cominciare da questi ambienti estremamente delicati ed importanti”
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