Università: con la crisi del Covid a rischio l’iscrizione di 10.000 studenti
Marco Guerra – Città del Vaticano
Gli effetti economici della pandemia di Coronavirus potrebbero portare ad una diminuzione degli iscritti nelle università italiane, per l’anno 2020-21, che ammonterebbe a circa 9500 studenti, di cui 6300 nel Mezzogiorno. E’ quanto stima Svimez, basandosi sul calo delle nuove matricole registrato nella precedente crisi del 2008-2009.
Colpito maggiormente il Mezzogiorno
In pratica l’Associazione per lo Sviluppo dell’Industria nel Mezzogiorno (Svimez) ha considerato che al 2020 si calcolano approssimativamente 292.000 maturi al Centro Nord e circa 197.000 al Mezzogiorno. Alla luce di ciò si stima una riduzione del tasso di proseguimento di 3,6 punti nel Mezzogiorno e di 1,5 nel Centro-Nord.
Cala il livello del capitale umano
Se non si riuscirà ad intervenire in tempo questo fenomeno potrebbe avere gravi ripercussioni per tutto il sistema Paese, in termini di futuro capitale umano e possibilità dei giovani di entrare nel mercato del lavoro ambendo a posizioni professionali di buon livello.
Le proposte di Svimez
Al fine di evitare questo scenario e rilanciare la formazione nel Meridione, Svimez ha quindi presentato una serie di proposte, tra cui la “no tax area” proposta dal ministero dell’Università, per le famiglie fino 20mila euro di reddito annuo, prevedendo un ulteriore innalzamento a 30mila euro; borse di studio vincolate al raggiungimento degli obiettivi e il rafforzamento di 4-5 poli di formazione e ricerca nel Sud Italia.
“Avere meno giovani laureati vuol dire avere un minore tasso di crescita”, spiega a Vatican News, il direttore generale della Svimez, Luca Bianchi:
R. - Noi abbiamo analizzato innanzitutto ciò che era accaduto nel corso della crisi 2008-2009 ed abbiamo notato che c'è una forte elasticità del numero degli iscritti rispetto ai redditi disponibili. In sostanza se c'è un impoverimento forte delle famiglie, una delle spese su cui si incide maggiormente è quella per l’università. Quindi famiglie più povere corrispondono ad una minore capacità di sostenere i costi di un figlio all'università.
Quindi l'impatto della crisi economica legata alla pandemia può avere effetti negativi a lungo termine sulle generazioni più giovani soprattutto al sud…
R.- Assolutamente sì, il nostro studio vuole proprio lanciare un allarme che in questa fase bisogna occuparsi innanzitutto delle nuove generazioni, non si può far pagare sempre a loro l'impatto delle crisi, visto che già l'Italia ha un tasso di iscrizione all'università molto più basso della media europea. Da noi si iscrivono all’università circa il 55% dei diplomati mentre in Paesi come la Germania sono il 70%. Se noi perdiamo questo capitale umano in qualche misura saremo anche più deboli nel riprenderci. Il nostro obiettivo era proprio aprire un faro sul tema delle nuove generazioni e in particolare sul capitale umano.
Quali effetti rischia di avere questo fenomeno sul sistema Paese? Cosa comporta avere meno giovani laureati?
R. - Avere meno giovani laureati vuol dire avere un minore tasso di crescita e di produttività e questo riguarda sia il settore privato sia il settore pubblico. Il nostro “stock di occupazione” ha un livello di formazione media più bassa degli altri Paesi e questo riguarda la anche pubblica amministrazione e lo abbiamo visto in queste settimane del covid, con la mancanza di competenze anche di carattere digitale. Diciamo che tutto quello che riguarda il tema della formazione è fondamentale sia per affrontare l'emergenza sia soprattutto per riprendere a crescere nel momento in cui l’emergenza è superata.
Svimez ha lanciato alcune proposte concrete, può illustrarle brevemente?
R. - Sono anni che diciamo che non si possono tagliare risorse a scuola e università, che la formazione è un tema fondamentale, una infrastruttura sociale ed economica indispensabile. Poi in questo periodo specifico noi proponiamo, per evitare questo crollo degli iscritti, che ci siano borse di studio statali che coprano l'intero costo della retta universitaria, vincolate però all’essere in regola con gli esami, quindi una sorta di grande borsa di studio nazionale che permetta a tutti coloro che si vogliono impegnare di frequentare l’università senza costi. Seconda proposta: rendere strutturale un incremento e la nota no tax area, cioè di coloro che non pagano per i prossimi cinque anni, così che sia una certezza sul costo del periodo universitario; e poi abbiamo proposto di destinare le risorse del recovery found al tema della formazione. Noi proponiamo nello specifico di costituire 3 o 4 poli di ricerca nel mezzogiorno, valorizzando le università che funzionano, perché nel corso degli ultimi anni c'è stato un allargamento del divario nord-sud e sempre più studenti meridionali vanno a studiare al nord e se il capitale umano è decisivo in tutto il Paese lo è ancora di più in un'area che deve crescere come quella del Mezzogiorno.
Avete inoltre accesso i riflettori sul divario digitale tra nord e sud, perché?
R.- Quello è l'ultimo punto delle nostre proposte che riguarda l'università, ma non solo. Serve un grande piano di investimento sulle infrastrutture digitali. È inaccettabile che noi abbiamo registrato nel corso e la pandemia che nel Mezzogiorno quasi un bambino su cinque non ha potuto accedere alla didattica a distanza o perché non era nelle possibilità economiche di avere un computer o un tablet, oppure perché vive in una zona non abbastanza collegata dal punto di vista della fibra. Questa deve essere una priorità assoluta perché diventa non solo un pezzo di sviluppo ma anche uno strumento di uguaglianza.
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