Yemen: raccolta solo la metà dei fondi necessari per aiutare 12 milioni di persone
Michele Raviart – Città del Vaticano
Sono stati poco più della metà di quanto stabilito i fondi raccolti dalla Conferenza dei donatori sullo Yemen, promossa da Arabia Saudita e Onu e che si è svolta ieri in videoconferenza. 1,35 miliardi di dollari sui 2,4 richiesti, quindi, per aiutare un Paese in guerra ormai da cinque anni e in cui la popolazione bisognosa di assistenza raggiunge l’80% del totale. Per l’Onu è la più grande emergenza umanitaria del mondo, e lo stesso generale Guterres aveva parlato del bisogno di un’azione urgente per evitare la chiusura, entro poche settimane, di 30 dei 41 programmi finanziati dalle Nazioni Unite.
Non ancora donazioni effettive
“Quando si raccolgono promesse di donazione il bicchiere è sempre mezzo pieno”, spiega a Vatican News Eleonora Ardemagni, assistente all'Università Cattolica e ricercatrice associata dell'Ispi, “però in questo caso è stata la stessa Onu a evidenziare che i donatori hanno promesso metà della cifra necessaria per lo Yemen in questo momento. Metterei anche in evidenzia che si tratta di promesse di donazione e non ancora di donazioni effettive e tante volte anche in passato poi c’è stata un’ulteriore discrepanza”.
Difficile recapitare gli aiuti
Trenta i Paesi che si sono impegnati a finanziare gli aiuti nello Yemen. Primo tra tutti l’Arabia Saudita, che guida la coalizione internazionale che sostiene il governo riconosciuto di Hadi, spodestato dagli insorti houti sostenuti indirettamente dall’Iran. Riyadh ha promesso 500 milioni di dollari, il Regno Unito 200 e la Germania 140. Nessun aiuto invece dagli Stati Uniti. “Le stesse Nazioni Unite hanno denunciato più volte - spiega Ardemagni - che è difficile non soltanto accedere ad alcune aree dello Yemen, ma anche essere sicuri che questi fondi vengano utilizzati in maniera corretta, soprattutto nelle aree nord occidentali sotto il controllo degli insorti houti. È per questa ragione che gli Stati Uniti, che pure sono tra i donatori di questa Conferenza, hanno sospeso qualche settimana fa i fondi attraverso l’agenzia statale Usaid”.
400 i casi di coronavirus
Sulle promesse di aiuti in parte ha influito anche la crisi finanziaria in corso in molti dei Paesi donatori, dovuta alle conseguenze economiche della pandemia di Covid-19, che ha raggiunto anche lo Yemen. “Nonostante siano stati registrati circa 400 casi di positività confermate - continua la ricercatrice dell'Ispi - la possibilità di fare il test e di curare le persone eventualmente trovate positive è difficile se non impossibile. Oltretutto molte strutture ospedaliere e sanitarie sono state danneggiate durante i cinque anni di conflitto e non è possibile testare la popolazione in maniera sistematica soprattutto al di fuori delle grandi città, con circa il 60% degli yemeniti che vive invece in aree rurali”.
Nessuno rispetta il cessate il fuoco
Un pericolo di epidemia che non ha fermato gli scontri sul terreno in questi mesi, in particolare nel governatorato centrale di Mareb e con i secessionisti del sud, vicini agli Emirati Arabi Uniti che hanno dichiarato l’autogoverno di Aden. "C'è in vigore un cessate il fuoco, che è stato rinnovato per un mese dall'Arabia Saudita, ma non viene rispettato da nessuno", sottolinea ancora Ardemagni. “La diplomazia formalmente è sempre al lavoro. L’Arabia Saudita comunica direttamente con gli insorti houti dallo scorso autunno e sta mediando una nuova intesa tra i secessionisti del sud e il governo riconosciuto per stabilizzare la città di Aden, ma tutto ciò è ostacolato dal continuo tentativo da parte degli attori in campo di conquistare un vantaggio di posizione con le armi”.
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